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Sull'Italian Journal of Geosciences

Bronzi di Riace, uno studio multidisciplinare riapre il caso e rafforza la pista siracusana

lunedì 10 Novembre 2025

L’ Italian Journal of Geosciences, la prestigiosa rivista scientifica internazionale della Società Geologica Italiana, nel vol. 145, già disponibile online, ospita da pochi giorni uno studio di 42 pagine dedicato alla nota “ipotesi siciliana” dei Bronzi di Riace, dal titolo: “A Syracusan hypothesis on the origin of the Riace Bronzes: new investigations and a historical-scientific revision …”. Si tratta di un complesso lavoro scientifico pluridisciplinare al quale hanno partecipato 15 studiosi, geologi, archeologi, storici, paleontologi, biologi marini, esperti di leghe metalliche e di archeologia subacquea, molti dei quali ricoprono l’incarico di professori ordinari o associati presso 6 Università italiane (Catania, Ferrara, Cagliari, Bari, Pavia e Calabria).

L’ipotesi siciliana era stata lanciata negli anni ’80 dall’archeologo americano Robert Ross Holloway, secondo il quale i Bronzi sarebbero stati ritrovati nel mare della Sicilia, dove dovettero affondare durante i trafugamenti operati dai romani dopo il sacco di Siracusa nel 212 a.C. Da lì, poi sarebbero stati nascosti da archeotrafficanti nei fondali di Riace in Calabria, dove, in attesa di essere venduti all’estero, vennero scoperti. L’ipotesi fu poi ripresa da Margareth McCann, che vi individuò i Dinomènidi, ed è stata di recente rilanciata da Anselmo Madeddu nel libro “Il mistero dei Guerrieri di Riace: l’ipotesi siciliana” (Algra editore). Un libro che ospita anche i risultati di uno studio coordinato dal professor Rosolino Cirrincione, geologo dell’Università di Catania, che prova scientificamente come le terre utilizzate per saldare le statue provenissero proprio da una cava d’argilla nei pressi del fiume Anapo a Siracusa.

Lo studio pubblicato sull’ Italian Journal of Geosciences, adesso aggiunge altri fondamentali tasselli a questo mosaico indiziario, sondando tre linee di ricerca. Le prime due hanno confermato la netta differenza tra le terre di saldatura e quelle di fusione. Le prime proverrebbero appunto dalla foce dell’Anapo, le altre, ricche i granitoidi, hanno mostrato una forte corrispondenza con quelle del delta del Crati in Calabria, ancor più che di Argo, come era stato proposto in passato. Ciò significa che le statue, probabilmente, dovettero essere realizzate a sezioni separate in una officina di Sibari per poi essere saldate e collocate a Siracusa. Si tratta di un dato che avvalora l’ipotesi della paternità di Pitagora da Reggio, scultore molto attivo alla corte siracusana dei Dinomenidi, il quale, secondo un recente studio francese, avrebbe realizzato, proprio nel suo atelier di Sibari anche l’Auriga di Delfi, altra famosa commissione siciliana dei Dinomenidi.

La terza linea di ricerca, infine, attraverso una sistematica revisione dei dati di letteratura e l’esame della documentazione fotografica esistente, ha studiato l’originaria giacitura sottomarina delle statue, focalizzando l’attenzione sulle patine di alterazione e sul biota marino che si è insediato sulla loro superficie, al fine di ottenere informazioni sull’habitat, sulle batimetrie e sulle dinamiche che hanno caratterizzato la loro interazione con l’ambiente di deposizione. Lo studio ha mostrato come i segni della giacitura delle due statue nei bassi fondali di Riace (8 metri) risalirebbero a pochi mesi prima del loro rinvenimento (agosto 1972). Di contro, invece, la presenza di serpulidi circalitorali, di croste di coralligeno e di patine di solfuro di rame, tipiche di ambienti scarsamente illuminati e fortemente anaerobi (compresi tra i 70 e i 90 metri di profondità) proverebbero che le statue dovettero giacere per oltre due millenni in fondali ben differenti da quelli di Riace, molto più profondi e compatibili con quelli della costa ionica siciliana di Brucoli, ovvero quelli recentemente proposti dalle ipotesi testimoniali pubblicate da “Archeo” (2024) e “Archeologia Viva” (2025). Lo studio, pertanto, confermerebbe quanto già rivelato da Holloway circa l’originario ritrovamento delle statue nel mare siciliano e il successivo trafugamento a Riace per mano di archeotrafficanti.

La più grande novità di questa ricerca – affermano Madeddu e Cirrincione – è quella che si tratta del primo lavoro scientifico che integra in un’unica proposta interpretativa sia i nuovi dati emersi dalla ricerca sia quelli derivanti dalla revisione critica delle più solide evidenze scientifiche già esistenti, attraverso un approccio multidisciplinare in grado di restituire una lettura unitaria, coerente e complessiva della storia delle statue. Con questo nessuno vuol mettere in discussione l’appartenenza dei Bronzi al museo di Reggio, ma la loro storia va certamente riscritta”.

“Molti conoscono la geologia soprattutto per il suo legame con i rischi naturali. In un Paese dinamico come l’Italia, dove terremoti, eruzioni vulcaniche e frane fanno parte della nostra quotidianità, la Geologia è fondamentale per comprendere e prevenire questi fenomeni. Ma i suoi strumenti e metodi possono rivelarsi preziosi anche in ambiti molto diversi, come l’Archeologia”, aggiunge Rodolfo Carosi, Presidente della Società Geologica Italiana.

“È il caso delle indagini condotte dai ricercatori delle Università di Catania e Ferrara sui celebri Bronzi di Riace, un mistero che da decenni affascina studiosi e appassionati di tutto il mondo. Utilizzando metodologie tipiche della geologia – come i carotaggi, le analisi chimiche e mineralogiche di rocce e sedimenti, lo studio di microfossili e altri indizi ambientali – gli studiosi hanno fornito dati scientifici rigorosi e riproducibili per indagare la provenienza delle statue – prosegue – . Il risultato di questo lavoro, frutto di una ricerca accurata e multidisciplinare, è stato pubblicato sulla rivista della Società Geologica Italiana, la più antica società scientifica nel campo delle Geoscienze del nostro Paese. La pubblicazione, sottoposta a revisione tra pari (peer review) come nelle migliori riviste internazionali, rappresenta un importante riconoscimento per la solidità del metodo e la qualità dei risultati.

“La novità più interessante di questo studio sta proprio nell’integrazione tra i dati geologici e quelli archeologici: due mondi che si incontrano per offrire nuove chiavi di lettura su un capolavoro dell’arte antica. Una collaborazione che apre la strada anche a sviluppi futuri nel campo della Geologia Forense, con possibili applicazioni nella tutela e nel tracciamento dei beni culturali – conclude -. Il caso dei Bronzi di Riace mostra dunque come la Geologia non sia solo la scienza che studia la Terra e i suoi rischi, ma anche uno strumento potente per ricostruire la storia dell’uomo e dei suoi capolavori, unendo il rigore della ricerca scientifica al fascino senza tempo dell’archeologia”.

I risultati di questo studio saranno illustrati al pubblico il prossimo 12 dicembre a Siracusa da tutti gli studiosi italiani che vi hanno preso parte.

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