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Firme false grilline, la verità di Claudia La Rocca su Facebook: “Non voglio essere quella che si è pentita”

mercoledì 8 Marzo 2017

“Nessuno fino ad oggi era a conoscenza delle mie dichiarazioni ai Pm, ai quali ho detto solo ciò che ricordavo dopo 4 anni e mezzo dal fatto, ma visto che il verbale è stato reso pubblico (preciso, non da me) rompo il silenzio”. Sono le parole con cui la deputata regionale siciliana Claudia La Rocca apre un lungo post su Facebook per raccontare la propria verità sulla vicenda delle firme false, che ha scosso il Movimento 5 Stelle palermitano, dal quale la parlamentare si è autosospesa insieme a Giorgio Ciaccio. Vicenda, che risale al 2102 e per la quale sono indagati, oltre a La Rocca e Ciaccio, anche i deputati nazionali Nuti, Mannino, Di Vita e gli attivisti Busalacchi, Ricciardi e Salvino (mariti rispettivamente delle parlamentari grilline Lupo e Mannino).

“Parto dal presupposto che non so come sia potuto venire in mente ai miei colleghi nazionali di presentare un esposto che metta in dubbio la natura delle mie dichiarazioni ai Magistrati – scrive la deputata all’Ars – Non conoscevano il contenuto della mia testimonianza, né sapevano se avevo fatto i loro nomi (e se si, di chi). Ripeto, ho riferito solo ciò che ricordavo, senza mentire (cosa che non mi appartiene). Quando ho deciso di rivolgermi alla magistratura conoscevo Ugo Forello, messo in mezzo in modo strumentale, veramente poco, non avevo molta confidenza con lui, l’avevo visto pochissime volte (da contare sulle dita di una mano). Era una persona che sapevo lavorare da qualche mese al tavolo tematico sui beni comuni e sulla trasparenza, io lavoravo in quello sul turismo e la cultura, quindi non ho avuto molte occasioni per incontrarlo. Proprio per questo, non capisco come un consiglio disinteressato, scritto a seguito di un servizio televisivo e al quale risposi vagamente e distrattamente, possa essere stato definito una “manipolazione”, termine letto e sentito più volte e che offende la mia intelligenza. Non capisco per quale ragione avrei dovuto farmi “manipolare” – aggiunge – da una persona che conoscevo appena. Diciamo pure che forse qualcuno ha voluto buttarla in caciara per provare a far saltare le comunarie. Un comportamento ingiusto, insensato, ma che per fortuna non ha avuto l’esito sperato”.

“Quando è scoppiato il caso firme ero molto confusa, soprattutto davanti i comportamenti di chi forse doveva essere semplicemente coerente con i valori che dei portavoce, e non, del M5S dovevano rappresentare, e non avevo ancora maturato quella che sarebbe diventata, giorni dopo, la mia scelta di collaborazione. Fatta questa premessa, tengo a precisare che la mia decisione è stata dettata non solo dal fatto di essere un deputato del Movimento 5 Stelle, ma prima di tutto dal fatto di essere una siciliana che non sopportava e avrebbe sopportato un atteggiamento omertoso, in particolare davanti un fatto stupido, che non ha leso nessuno e di cui ci si doveva scusare subito.

E ancora: “So che il Movimento paga i toni a volte troppo giustizialisti, ma di fatto per mesi il caso delle “firme false” ha regnato nei tg al pari di un caso di tangenti o del pericolo di un serial killer a piede libero. Nella realtà dei fatti il “reato” è stato commesso da un branco di ragazzetti, che nell’intento di aiutare qualcuno per un errore commesso nella stampa dei moduli, hanno agito nella totale ignoranza e assoluta ingenuità. Capisco la “notizia”, ma per onore della verità è giusto dare alle cose la giusta dimensione, lo spirito non era quello di un clan malavitoso, nessuno ha inventato “firme false”, si sono “ricopiate” firme (pur sbagliando) di persone che avevano espresso la volontà di firmare quei maledetti moduli. In tutto questo la perizia grafologica, alla quale mi sono sottoposta, ha riscontrato la compatibilità con “mezza” firma su 310. Perché come vagamente ricordavo avevo fatto presente che non ero capace a ricopiare e ho aiutato a compilare i campi. Le mani erano tante, come dice la perizia. Tutta questa storia, questo errore, di fatto è stato strumentalizzato a partire da quelle persone che l’hanno tirato fuori dopo ben 4 anni e mezzo, soprattutto da chi ha conservato nel cassetto quei 5 moduli con “le firme originali” e le ha tirate fuori al momento giusto, magari manovrato da qualcuno. Un atteggiamento meschino, non di certo fatto in buona fede o per amore della verità, non mi risulta infatti che le persone in questione (alcune di loro ai tempi candidate) abbiano sporto denuncia al momento dell’accaduto”.

“Voglio avere fiducia nella Giustizia – prosegue Claudia La Rocca –  solo e soltanto lei, come è indicato nella nostra Costituzione, deciderà se quanto accaduto meriterà una condanna, se sono colpevole. La mia vita (e non solo mia) negli ultimi mesi è stata stravolta, vivo in una specie di limbo e nonostante il grande sostegno ricevuto dalla gente, dagli attivisti, dai miei colleghi, verosimilmente da ogni schieramento politico regionale e dalla correttezza della stampa locale, sono tanti i rospi che ho dovuto ingoiare, come il sapere del vile tentativo di qualcuno di mettere in dubbio la mia sanità mentale, al dovermi sentire una figura “scomoda” e “compromessa”, che da una parte continua a fare il suo dovere e a restituire parte del suo stipendio, ma dall’altra parte deve quasi nascondere il suo lavoro e altro. Trovo questa storia una punizione spropositata e tristemente ingiusta. Diverse persone, amiche e sconosciute, mi dicono di non mollare e andare avanti, che io “sono il Movimento” e parole simili (che apprezzo, per carità…), la verità è che io non so nè se voglio andare avanti, mi sento fortemente disillusa, nè se avrò le condizioni per farlo”.

Non lo nego, delle volte mi fermo a pensare come sia tutto paradossale, al fatto che sono diventata “famosa” per questa vicenda assurda dopo tutto il lavoro che da semplice deputata inesperta e di minoranza ha portato al termine con sacrificio e determinazione, dopo aver dato il massimo per svolgere al meglio il ruolo di portavoce. Chissà dov’è la “meritocrazia”. Io non voglio essere “quella che si è pentita per le firme false”.

A questo punto, il post della La Rocca continua con un elenco di iniziative parlamentari portate avanti da lei in questi anni come deputata all’Ars. Il suo sfogo, arriva dopo poche ore dalla pubblicazione su LiveSicilia del resoconto delle dichiarazioni della parlamentare ai magistrati: nel suo interrogatorio ai pm, Claudia La Rocca ha raccontato quello che avvenne la convulsa sera di aprile, quando centinaia di sottoscrizioni vennero copiate dalle originali. Nel verbale depositato agli atti del procedimento emergono chiari i segni della spaccatura fra il gruppo dei deputati siciliani di cui la La Rocca, indagata e rea-confessa fa parte, e i parlamentari nazionali “guidati” da Riccardo Nuti, pure lui indagato.

nutiLa Rocca, che con le sue rivelazioni ha consentito ai magistrati di provare i falsi, ha detto ai pm di aver “ricevuto una telefonata da Ciaccio o Alice Pantaleone (entrambi indagati ndr), in cui si diceva che Riccardo Nuti aveva avuto un’accesa discussione con Samanta Busalacchi (attivista indagata ndr) perché quest’ultima aveva commesso un errore nell’indicazione del luogo di nascita di Giuseppe Ipollito e tra gli attivisti si temeva che tale errore avrebbe potuto compromettere la presentazione della lista”. Da qui la convocazione del 2 aprile 2012 nella sede palermitana del Movimento, in un piccolo ufficio in via Sampolo. La Rocca fa l’elenco delle persone con cui si trovò a discutere: “Giorgio Ciaccio, Riccardo Nuti, Samanta Busalacchi, Claudia Mannino e presumo il marito Pietro Salvino, e Alice Pantaleone”. Al suo arrivò la decisione era già stata presa, bisognava ricopiare le firme: “Mi convinsi che tutto sommato si trattava di ripetere, sia pure falsamente, firme reali. Abbiamo diviso i moduli da ricopiare, oltre a me ricordo che c’erano alla mia destra Claudia Mannino e Samanta Busalacchi, e Giorgio Ciaccio, che ricordo nell’atto di ricopiare, e la Pantaleone, ma non sono sicuro che firmasse anche lei”.
“Il referente di tutta l’attività – ha proseguito – era sempre Riccardo Nuti, che era il più interessato e che aveva rimproverato la Busalacchi che era mortificata perché si sentiva responsabile dell’errore. Non ho difficoltà a ritenere che sia stato lui l’ispiratore della copiatura perché era il candidato a sindaco, candidato capolista e il più preoccupato di una possibile esclusione”. Del successivo e decisivo passaggio dell’autenticazione delle firme “immagino che si sia occupato Francesco Menallo (anche lui indagato ndr) che era avvocato ed era la persona a cui facevamo riferimento in quanto più grande di noi e più esperto di diritto”.

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