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Gasolio libico rubato dall’Isis e rivenduto in Sicilia: 6 arresti a Catania

mercoledì 18 Ottobre 2017

La guardia di finanza ha sgominato un’associazione a delinquere internazionale che riciclava gasolio libico rubato dalla raffineria libica di Zawyia, a 40 km ovest di Tripoli,trasportato via mare in Sicilia e successivamente immesso nel mercato italiano ed europeo. Militari del comando provinciale di Catania, con la collaborazione del Scico, a conclusione di un’indagine coordinata dalla Procura Distrettuale etnea, hanno eseguito un’ordinanza del Gip effettuando sei arresti (3 in carcere e 3 ai domiciliari): due sono maltesi, due libici e quattro italiani. Altri tre libici sono ricercati. Uno è detenuto nel suo Paese. Dopo il furto il gasolio veniva scortato da milizie libiche e portato in Sicilia e poi immesso nel mercato italiano e europeo mediante una società maltese. Il traffico è stato monitorato con mezzi del Comando operativo aeronavale della Gdf.

In Italia tra il giugno del 2015 e il giugno de 2016 sarebbero arrivati oltre 82 milioni di chilogrammi di gasolio libico trafugato per un valore d’acquisto pari a circa 27 milioni di euro a fronte di un valore industriale di mercato pari a oltre 51 milioni di euro. ll’operazione, coordinata dalla Procura di Catania, denominata ‘Dirty oil’, ha portato all’arresto di 9 persone – tre rinchiusi in carcere e tre posti agli arresti domiciliari – che riciclavano gasolio libico. Il carburante rubato dalla raffineria di Zawyia, a 40 km ovest di Tripoli, veniva poi trasportato via mare in Sicilia e successivamente immesso nel mercato italiano ed europeo. Altri tre libici sono ricercati. Uno è detenuto nel suo Paese. L’indagine è partita da una denuncia dell’Eni, che è parte lesa.

I destinatari della misura di custodia cautelare in carcere nell’ambito dell’inchiesta ‘Dirty oil’ sono l’amministratore delegato della Maxcom Bunker S.p.a., società con sede legale a Roma che si occupa del commercio all’ingrosso di prodotti petroliferi e di bunkeraggio delle navi Marco Porta, di 48 anni, il libico Fahmi Mousa Saleem Ben Khalifa, detto “il Malem” (il capo), fuggito nel 2011 con la caduta del regime di Gheddafi dal carcere dove stava scontando una condanna a 15 anni per traffico di droga, che secondo quanto accertato avrebbe guidato una milizia armata stanziata nella zona costiera al confine con la Tunisia e che è stato recentemente arrestato per contrabbando di carburanti da parte delle autorità libiche, il catanese Nicola Orazio Romeo, di 45 anni, indicato da alcuni collaboratori di giustizia come appartenente alla frangia mafiosa degli Ercolano, i maltesi Darren e Gordon Debono, entrambi di 43 anni, il libico Tareq Dardar. Ai domiciliari sono stati posti Rosanna La Duca, di 48 anni, consulente esterna della Maxom Bunker, Stefano Cevasco, di 48, addetto all’ufficio commerciale, Antonio Baffo, di 61 responsabile del deposito fiscale di Augusta.

I maltesi avrebbero, con Romeo, curato il trasporto via mare gestendo, al contempo, il reticolo di società commerciali coinvolte nel business. Per i tre libici ancora ricercati la Procura di Catania ha richiesto l’emissione di un mandato d’arresto internazionale.

“Non possiamo escludere – ha detto il Procuratore della Repubblica a Catania Carmelo Zuccaro che parte dei proventi di questi traffici illeciti sia andata all’Isis, ma non ne abbiamo evidenza. L’unica cosa di cui abbiamo evidenza è che nel passato nei territori controllati da queste milizie dedite anche a questo contrabbando vi erano anche soggetti dell’Isis. Il traffico procura ai libici profitti estremamente ingenti e siccome una delle persone coinvolte, Ven Khalifa, è a capo di una milizia in Libia, per esempio controlla la città di Zwara, noi abbiamo ragione di ritenere che sia uno degli ‘smuggler’ più importanti e quindi uno degli autori dei traffici di clandestini”.

L’associazione mirava ad acquisire la disponibilità di un flusso continuo di gasolio libico ad un prezzo ribassato rispetto alle quotazioni ufficiali, garantendo alla società italiana acquirente un margine di profitto costante e più elevato. Gli ideatori – dicono gli inquirenti – per ostacolare la ricostruzione dei passaggi materiali, documentali e finanziari, avrebbero costruito un variabile sistema di società, a più livelli, poste fittiziamente tra venditori e acquirenti finali.

La frode è stata attuata ricorrendo a false documentazioni che attestavano inizialmente l’origine saudita del gasolio libico e poi, successivamente, la non veritiera cessione del carburante da una delle società sussidiarie della compagnia petrolifera nazionale della Libia. Successivamente, in seguito ad una attenzione dei media ed un report del Gruppo di esperti in Libia del Consiglio di Sicurezza dell’Onu in merito al traffico di carburante, l’organizzazione avrebbero cambiato il sistema di frode usando falsi certificati libici.

Ben Khalifa, capo di una milizia in Libia, avrebbe consentito a navi cisterna di rifornirsi del gasolio proveniente dalle raffinerie attraverso pescherecci appositamente modificati o altre navi cisterna di piccole dimensioni. Alcune di queste navi, giunte al largo di Malta, avrebbero trasbordato il carburante su natanti nella disponibilità di società maltesi che poi si incaricavano di trasportarlo nei porti italiani per conto della società Maxcom Bunker. Per la successiva distribuzione sul territorio nazionale del carburante importato dalla Libia dalla Maxcom Bunker, le Fiamme Gialle hanno tracciato in alcuni casi la destinazione finale del gasolio immesso in Sicilia e in Campania riuscendo a smascherare una distinta associazione a delinquere finalizzata alla sistematica evasione dell’Iva e alla vendita a distributori stradali compiacenti di gasolio extra-rete frodando consumatori e compagnie di bandiera. La frode – dicono gli investigatori – ha comportato un mancato incasso per il bilancio nazionale e quello comunitario di imposte per un ammontare di oltre 11 milioni di euro.

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