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Gocce di anatomia: l’ovaio e i suoi tumori, dall’anatomia alla clinica

martedì 6 Aprile 2021

Cari Lettori,

la 25esima puntata della rubrica “La Buona Salute” è stata dedicata ai tumori dell’ovaio, un variegato gruppo di neoplasie più o meno aggressive che colpiscono la gonade femminile, oggetto dell’odierno articolo. Si tratta di un organo assai complesso e non è affatto banale né spiegarlo in poche parole (come tenterò di fare nelle righe successive) né tanto meno affrontarne gli articolati aspetti clinici e chirurgici che i colleghi hanno ben precisato nella puntata della suddetta rubrica (https://sanitainsicilia.it/la-buona-salute-25-puntata-percorsi-di-cura-per-i-tumori-ovaricivideo_409556/), richiamando quindi l’importanza di costituire dei veri e propri “Centri di riferimento” in Sicilia per la terapia delle patologie – in special modo quelle neoplastiche – che insorgono a livello di questa struttura anatomica.

L’ovaio, così come il testicolo (ossia la gonade maschile), ha la peculiarità di originarsi – nell’embrione – in cavità addominale, in particolare nella regione retroperitoneale, per poi migrare verso il basso, durante lo sviluppo fetale, per raggiungere la sede finale, ossia la cavità pelvica (viceversa, il testicolo si spinge oltre, raggiungendo il sacco scrotale). Questa discesa è agevolata – in ambo i casi – da un cordoncino fibroso, il gubernaculum (rispettivamente, ovarii e testis) che nell’uomo scompare del tutto al termine dello sviluppo, mentre nella donna permane sotto forma dei legamenti utero-ovarico e rotondo dell’utero (che possono quindi essere annoverati tra quei “residui organogenetici” che abbiamo citato nella puntata precedente: https://sanitainsicilia.it/gocce-di-anatomia-endometrio-ed-endometriosi-uno-sguardo- anatomico_409552/).

L’ovaio viene classicamente descritto con una forma “a mandorla”, ossia un po’ schiacciato, con una lunghezza di circa 2,5 cm, una larghezza di circa 1,5 cm e uno spessore di circa un centimetro. Presenta due facce (una laterale e una mediale, quest’ultima rivolta verso l’utero), due margini (uno anteriore e uno posteriore) e due poli, quello inferiore sede d’inserzione del legamento utero-ovarico, quello superiore sede del peduncolo vascolare, dove troviamo quell’arteria e quella vena ovariche che, nonostante la localizzazione pelvica di quest’organo, si connettono – non sempre direttamente – a vasi addominali (rispettivamente l’aorta addominale e la vena cava inferiore) proprio a ricordarci la suddetta origine embriologica di quest’organo.

I rapporti dell’ovaio sono molto complessi. Ci limiteremo a descrivere i più importanti: oltre ai già menzionati peduncolo vascolare e legamento utero-ovarico, c’è una terza struttura con cui l’ovaio ha un rapporto di continuità, ossia il mesovario: si tratta di una piega di peritoneo con cui l’ovaio, migrando dalla sede retroperitoneale – nella quale si è originato – dentro la cavità pelvica, è rimasto in stretto rapporto.
Altri rapporti sono di contiguità (ossia di vicinanza): tra questi senza dubbio hanno maggiore rilevanza clinica quelli con l’utero, la tuba uterina, le anse ileali (ossia l’ultima porzione dell’intestino tenue) e, a destra, il cieco (ossia la prima porzione dell’intestino crasso) con la sua appendice vermiforme.

Relativamente alla struttura, aiutandoci anche con la figura scelta a corredo di questo articolo, diciamo che
l’ovaio è un organo parenchimatoso che presenta alla descrizione una zona interna, detta midollare, e una esterna, detta corticale. La prima è soprattutto ricca di vasi, mentre la seconda è sede dei “follicoli oofori”, le centrali di produzione delle cellule uovo, o ovociti, in grande attività durante tutto il periodo fertile della donna. Di ovociti ne esistono due tipologie: quelli primari (ancora immaturi) e quelli secondari (pronti per essere espulsi dall’ovaio, attraverso il fenomeno noto come ovulazione). La trasformazione degli ovociti primari in secondari avviene per l’appunto dentro i follicoli.

Abbiamo già accennato, nella puntata precedente (https://sanitainsicilia.it/gocce-di-anatomia-endometrio- ed-endometriosi-uno-sguardo-anatomico_409552/), alla stretta correlazione tra ciclo ovario (per la produzione degli ovociti) e ciclo uterino (per favorire la creazione di quel microambiente endometriale congruo per l’annidamento dell’embrione, ossia dell’ovocita fecondato). Aggiungiamo qui solo due note:

  1.  Il follicolo ha delle tappe di maturazione (primario, secondario e terziario, quest’ultimo detto
    anche “maturo” o “di Graaf”, dall’anatomista olandese del XVII secolo Regnier de Graaf che per primo e meglio di altri lo descrisse) ed è il follicolo terziario a rompersi (ovulazione) ed espellere l’ovocita secondario;
  2. il follicolo, dopo l’ovulazione, modifica profondamente la sua struttura divenendo “corpo luteo”,
    una vera e propria centrale di produzione di ormoni essenziali per l’impianto e lo sviluppo dell’embrione.

Se questo non si verifica, il corpo luteo regredisce lasciando una piccola cicatrice visibile o meno sulla superficie dell’ovaio. A rivestire la corticale vi è un ulteriore strato, detto impropriamente “epitelio germinativo”. Un tempo, infatti, si pensava che da questo si originassero le cellule germinali, ossia gli ovociti e i loro precursori; poi si è visto che questo in realtà è un rivestimento in continuità con quel mesovario di cui abbiamo già detto.

Tuttavia, il nome è invalso nell’uso ed è rimasto fino a noi, sebbene sia più corretto chiamarlo epitelio ovarico. Tutto ciò premesso, possiamo finalmente aggiungere qualche parola sulla patogenesi dei tumori primitivi dell’ovaio, limitandoci a dire che questi possono essere classificati – dal punto di vista della loro origine – in tre tipologie:
1. Quelli di origine dall’epitelio germinativo (o epitelio ovarico): sono i più frequenti;
2. Quelli di origine dalle cellule germinali (ossia gli ovociti): sono relativamente frequenti nelle donne più giovani;
3. Quelli di origine dalle cellule stromali (ossia i restati citotipi ovarici, inclusi quelli che formano i follicoli e i corpi lutei): sono meno frequenti rispetto agli altri due tipi.

Ciascuno di questi gruppi può dare origine a varianti istologiche benigne o clinicamente aggressive e una precisa caratterizzazione istologica abbinata ad una corretta stadiazione clinica (come, ad esempio, le dimensioni, l’estensione ad altri organi, la presenza di metastasi a livello linfonodale o di altri organi) devono precedere qualsiasi terapia medica o chirurgica. Pertanto, concludo rinnovando l’invito dei colleghi intervistati nella puntata de “La Buona Salute” a mettersi nelle mani di professionisti operanti in centri di alta specializzazione fin dallo screening per la prevenzione e la diagnostica precoce di questa tanto variegata quanto insidiosa malattia.

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