Non poteva iniziare peggio questo novembre nero del centrodestra siciliano.
Proprio quando le acque sembravo essersi calmate, nel pomeriggio di ieri è sopraggiunta la nota del presidente della Regione Renato Schifani. Un decisione ferma e precisa: “non sussistano le condizioni affinché gli assessori regionali espressione della Nuova Democrazia Cristiana possano continuare a svolgere il proprio incarico all’interno della giunta regionale“. Il governatore ha così spalancato la porta a Nuccia Albano e Andrea Messina, i due esponenti espressi dalla Democrazia Cristiana, conducendoli verso l’uscita. Gli assessori, rispettivamente agli Enti locali e alla Famiglia, seppur non coinvolti nell’inchiesta sugli appalti truccati che vede tra i 18 indagati il segretario nazionale (ormai ex dopo le dimissioni) Totò Cuffaro e il collega capogruppo all’Ars Carmelo Pace, pagano così i capi d’accusa imputati all’ex presidente della Regione.
Schifani ha rivolto un messaggio anche ai deputati che compongono il gruppo parlamentare all’Assemblea, auspicando che sostengano “i provvedimenti dell’esecutivo regionale, nell’interesse superiore della Sicilia e dei cittadini che rappresentiamo, nella convinzione che la responsabilità e la coesione istituzionale debbano prevalere su ogni altra considerazione. Solo così sarà possibile proseguire nel lavoro di governo con la necessaria serenità, chiarezza e coerenza rispetto ai valori di legalità e buon governo che tutti siamo chiamati a difendere“. Ma l’invito verrà accolto?
Una richiesta, quella del governatore, inevitabile, considerando il peso politico del partito tra i banchi di Sala d’Ercole. I democristiani contano all’attivo 7 deputati. Senza di loro il centrodestra manterrebbe comunque una maggioranza solida: con la DC, contro i 23 di PD, M5S e Controcorrente. Anche senza i 7 la coalizione conterebbe su 37 deputati, ai quali si aggiungerebbero i 3 di Cateno De Luca. C’è un però. L’ombra dei franchi tiratori, grandi protagonisti delle ultime votazioni in aula, adesso, si consolida sempre di più.
Dalla sua, il gruppo della Balena bianca all’Assemblea, come comunicato attraverso una nota diramata dopo una riunione convocata dal presidente della I Commissione Affari Istituzionali Ignazio Abbate a Palazzo dei Normanni, sembra pronto a tendere la mano, in nome della “grande lealtà e vicinanza, dimostrata giornalmente attraverso la presenza costante e leale in aula e in giunta su ogni provvedimento” nonostante il “rammarico” per la revoca delle deleghe e che “aumenta nel constatare che la linea di trattamento riservata al gruppo della Dc non sia pienamente coerente poiché si ritiene questo trattamento inedito rispetto a situazioni politiche pregresse“.
Un messaggio che sembrerebbe voler mettere in cassaforte la Finanziaria, vero grande punto di domanda di queste ore. Già, perché da Palazzo d’Orleans all’Ars il passo è breve. Le dinamiche sono in divenire e un appuntamento importante è già fissato nelle prossime ore. Mercoledì 12 andrà in scena la seconda parte del vertice di maggioranza. La prima parte, svolta lo scorso giovedì 6 novembre, aveva riunito allo stesso tavolo tutta la coalizione di centrodestra, con i gruppi che hanno avanzato le loro singole proposte. In quell’occasione a guidare i democristiani è stato Abbate, che in questi giorni si è caricato il peso e le responsabilità derivanti dal vuoto lasciato dal segretario nazionale Cuffaro e dal capogruppo Pace e che continuerà a trainare il partito, il cui futuro latita attualmente nel dubbio e nelle incertezze. Altro tassello per definirne il destino arriverà giovedì 14, giorno in cui l’ex presidente sarà sentito dal gip.
Alla luce di ciò una domanda giunge spontanea: la Democrazia Cristiana sarà ancora coinvolta nei prossimi vertici di maggioranza?





