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Nella terra di Messina Denaro mancano i magistrati: “Siamo in carenza di organico”

mercoledì 8 Marzo 2017
Tribunale Trapani

«Abbiamo bisogno di forza lavoro». L’allarme arriva direttamente da Trapani, città simbolo della caccia al latitante Matteo Messina Denaro. Prima gli arresti e poi i sequestri a casseforti e istituti bancari di presunti mafiosi e massoni. A parlare è il procuratore aggiunto, Ambrogio Cartosio (foto), che dallo scorso agosto regge l’intera Procura locale.

Gli uffici negli ultimi mesi hanno cambiato volto. Alcuni sostituti procuratori sono stati trasferiti e anche il procuratore capo Marcello Viola è stato promosso alla Procura generale di Firenze. Secondo l’ultima relazione della Direzione investigativa Antimafia qui c’è «una mafia ancora compatta e forte» che si avvale «di figure investite di rappresentanza politico-amministrativa, condizionando così il buon andamento delle Amministrazioni locali». Pochi mesi prima di lasciare Trapani, il Ministero aveva dovuto rafforzare la scorta dell’allora procuratore in seguito ad alcune minacce veicolate attraverso il collaboratore di giustizia Giuseppe Tuzzolino. Avvertimenti e scritti anonimi sono una costante e nel 2012 la Procura di Caltanissetta, in seguito ad episodi analoghi, aprì un indagine e i magistrati finirono dinanzi la Commissione parlamentare Antimafia che alcuni mesi fa ha effettuato una visita ispettiva in città.

L’organico al momento è composto da sette sostituti procuratori: Franco Belvisi, Antonio D’Antona, Sara Morri, Rossana Penna, Antonio Sgarrella, Andrea Tarondo e Marco Verzera. In attesa che il Csm nomini un nuovo procuratore capo in questi mesi per due magistrati è stato disposto il trasferimento a Trapani. Si tratta di Brunella Sardoni e Salvatore Vella, entrambi attualmente in servizio alla Procura di Agrigento, dovrebbero trasferirsi in città nelle prossime settimane. Nomi e storie che si intrecciano. Vella in terra agrigentina ha condotto una serie di inchieste sulla massoneria, lambendo la rete di protezione di cui può godere il latitante Matteo Messina Denaro e in questi mesi ha più volte interrogato – chiedendone l’audizione in alcuni processi – il collaboratore Tuzzolino.

Carenze strutturali però riguardano anche il Tribunale. Entrando all’interno del palazzo di via XXX Gennaio, nell’atrio principale, c’è un piccolo schermo con una grafica che tiene il conto dei giorni trascorsi dalle ultime assunzioni di personale giudiziario e della scopertura di organico. “Ci troviamo sotto soglia – dice il presidente dell’Anm locale, Samuele Corso (foto) – e se i procedimenti non subiscono ritardi è soltanto per lo spirito di abnegazione dei miei colleghi”. Stamane dinanzi la Corte d’Assise dovrebbe iniziare il processo nei confronti di Domenico Scimonelli, accusato di omicidio. L’inizio era previsto per la scorsa settimana ma a causa del trasferimento in Corte d’Appello del giudice Angelo Pellino, il procedimento è stato rinviato. “Abbiamo vuoti anche in cancelleria e ovviamente anche per questo motivo ci sono udienze con trenta, quaranta procedimenti”.

Fuori dall’aula del giudice monocratico la calca è una routine. “E’ vero che giornalmente accadono episodi simili – dice Salvatore Alagna (foto), presidente della Camera Penale – ma è anche vero che cerchiamo in ogni modo di far funzionare il Sistema Giustizia affinché il carico venga razionalizzato”.

Vuoti di organico riguarderebbero anche la sottosezione Misure di Prevenzione. La riforma del Codice Antimafia prevede l’istituzione di una sezione specifica, con la conseguente assegnazione di 5 giudici oltre al presidente. Al momento ce ne sono soltanto tre, nonostante l’aumento dei sequestri a boss e colletti bianchi che toccano le casseforti della mafia trapanese. C’è il procedimento sulla Banca di Credito Cooperativo di Paceco e in questi mesi dovrebbe essere depositata la sentenza sul processo di prevenzione di Pino Giammarinaro, originario di Salemi, autore del fenomeno Sgarbi, più volte indagato per mafia, ma condannato esclusivamente per peculato e concussione. Per lui il pm Tarondo ha chiesto la confisca di beni per il valore di 50 milioni di euro, comprese le società che operavano nel mondo della sanità locale. Ancora in discussione i sequestri che riguardano la famiglia del latitante Matteo Messina Denaro. I fascicoli sembrano comporre l’albero genealogico della dinasty di Castelvetrano ma il prossimo sequestro è dietro l’angolo.

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