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Palermo, gli asili nido e i soldi del Pnrr

lunedì 25 Aprile 2022

Quando Palermo o la Sicilia chiedono soldi a Draghi, lui dovrebbe rispondere “solo se fate i nidi e se aumentate le spese per l’infanzia”, e forse, su questo versante, vedremmo lustro. Mi spiego meglio. A fronte di una spesa nazionale media per l’infanzia di 906 euro, la Sicilia ne spende poco più di 300. A fronte di un’offerta in Emilia Romagna di 45 posti al nido ogni 100 bambini, la Sicilia ne ha meno di 10 ogni 100. A fronte dei soldi stanziati per questo dal PNRR per fare i nidi al Sud, la Sicilia, i Comuni, Palermo, latitano. A Palermo le amministrazioni che si sono succedute negli anni, compresa l’ultima, non sono state in grado né di seppellire i morti né di occuparsi di chi nasce. Le due cose più simboliche e forti della vita dell’uomo, la nascita e la morte, annegate dalla priorità della gestione dell’ordinario divenuta emergenza, nemmeno quella tra l’altro assolta.

Vero è che in questi anni molto è stato fatto per trasformare Palermo da città di mafia a città di cultura, anche se la mafia prospera ancora oggi dietro il paravento. Però che ce ne facciamo di un edificio a cui si è rifatta la facciata e consolidata la struttura, se non ci sono né i bagni né le cucine? Nulla, manco un garage, il palazzo è inabitabile. Come si fanno nascere bambini in una città siffatta? Senza curarsi di quel che oggi è il loro presente, un presente che prepara l’avvenire: ovvero la cura, l’educazione, l’istruzione?

Città educativa? Solo 6 bambini su 100 a Palermo hanno il posto al nido comunale. Nel resto d’Italia la scuola dell’infanzia e la scuola primaria sono normalmente tutto il giorno, da noi a stento concludono la mattinata, solo 4 su 100 hanno il tempo pieno. Le fatiche ammirevoli del Terzo Settore non possono sostituire l’assenza di una rete di infrastrutture sociali per l’infanzia fatta di nidi e mense per il tempo pieno per coprire i bisogni in modo continuo di tutti i bambini e le bambine. Non è retorica, è un’assenza che pesa con la crudezza dei numeri nel tessuto culturale, sociale ed economico della nostra terra.

“Gli Stati membri dovranno rimuovere i disincentivi alla partecipazione femminile alla forza lavoro e fornire, entro il 2010, un’assistenza all’infanzia per almeno il 90% dei bambini di età compresa fra i 3 anni e l’età dell’obbligo scolastico e per almeno il 33% dei bambini di età inferiore ai 3 anni.” Consiglio europeo di Barcellona (2002). Siamo nel 2021 e altro che 33%, siamo fermi al 7%. Ci hanno messo sul tavolo 4,6 miliardi, non due euro, 4virgola6 miliardi di euro da spendere soprattutto al Sud per i nidi e quasi un miliardo per le mense. Niente, non ce la si fa. In buona o in cattiva fede i nidi e le mense per la scuola a Palermo non si fanno. I soldi li stiamo mandando indietro, i comuni siciliani sono quelli che hanno inviato meno progetti. Il dibattito sulla loro importanza fondamentale per la crescita dei territori è assente nelle giunte comunali o regionali.

I servizi per la prima infanzia svolgono una triplice funzione: educativa, economica e sociale. Nei primi mesi dello sviluppo i bambini si pongono le basi per gli apprendimenti successivi, avere accesso o meno a queste opportunità ha conseguenze decisive sulla possibilità per il minore di sottrarsi a quelle difficoltà di apprendimento che colpiscono soprattutto l’infanzia deprivata e diventano progressivamente bassi livelli di competenze, dispersione scolastica, difficoltà di inserimento sociale e lavorativo, povertà. Un circolo vizioso che al Sud è sotto gli occhi di tutti, accettato supinamente come un castigo divino e non come esito di sciatteria e mala politica. Accanto al ruolo educativo, la funzione economica e sociale: offrire i servizi per l’infanzia e il tempo pieno alla primaria diventa un incentivo non solo all’occupazione futura di quei minori, ma anche all’occupazione femminile, e quindi alla parità di genere, nonché a una migliore condizione economica del nucleo familiare. In particolare in Italia, dove l’occupazione femminile è rimasta tradizionalmente indietro. In particolare in Sicilia, dove 7 donne su 10 non lavorano. Ecco perché hanno messo sul tavolo 4,6 miliardi, mica due euro, 4,6 miliardi. Niente, non ce la si fa. In buona o in cattiva fede i nidi e le mense per la scuola non si fanno.

A fronte di questo sfacelo perché non ci solleviamo? La ragione principale è l’assenza di consapevolezza sull’importanza del tema, manca una Letizia Battaglia che fotografi questo sfacelo e ce lo riveli intero nella sua vergogna. L’altra è che non sappiamo contro chi sollevarci. Chi ha amministrato, nell’uno o nell’altro fronte, è parte di noi. Contro chi ci scagliamo? L’amico, il compagno o la compagna di battaglie, la persona che abbiamo sostenuto? In Italia la rivoluzione non si può fare perché ci conosciamo tutti, diceva qualcuno. Dovremmo sollevarci contro noi stessi, semplicemente, cambiare noi stessi. Siamo in tempo di elezioni, di tutto si parla, tranne che dei veri problemi di Palermo. Il più grande problema di Palermo non è il traffico, sono i suoi bambini. In mezzo ai fiumi di retorica che scorreranno in campagna elettorale questa è la cosa meno retorica di tutte. Possibile che fra tutti i candidati a sindaco nessuno stia denunciando la vergogna di far tornare indietro soldi messi a disposizione per questo? Non una, ma due, tre, innumerevoli volte? E, consapevole che non porta voti, dica “è un problema serio che va risolto, potremmo fare così, mi offro per farlo”?

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