Sul numero N° 13 de Il Capitale Culturale. Studies on the Value of Cultural Heritage, semestrale pubblicato dall’Università di Macerata è stato pubblicato il paper di Elisa Bonacini dell’Università di Catania dal titolo “Museo Salinas: un case study di social museum… a porte chiuse”.
Lo studio, la cui prossima uscita era stata annunciata dalla rivista scientifica Tafter Journal – Esperienze e Strumenti per Cultura e Territorio, è frutto di due anni di ricerca in cui sono state indagate le strategie di comunicazione adottate dal Museo palermitano sui social media, sottolineando la singolarità di un’istituzione che, chiusa per un restauro che rischiava di condannarla all’oblio, si è aperta al mondo attraverso le pratiche e i linguaggi della contemporaneità. Il paradosso di un museo chiuso che registra un +24% di ingressi rispetto a quando era aperto: “Chiusi per restauro, aperti per vocazione” è stato lo slogan che ha sintetizzato al meglio la campagna.
“Dall’analisi dei dati emerge come, nonostante una situazione di empasse, le belle parole dello slogan si sono tradotte in una solida, talvolta avanguardistica, attività di comunicazione nel nome della social innovation e della progettualità partecipata con la creazione di un brand riconoscibile e in cui riconoscersi, perfettamente sintetizzato nel pay-off #lestoriedituttinoi“, dice Elisa Bonacini.
Un mix strategico di attività culturali e didattiche, mostre, spot visuali sui vari social network e l’adesione a campagne sociali di rilancio dei musei come le pioneristiche #invasionidigitali3D i cui risultati sono diventati oggetto di studio in sedi scientifiche internazionali, come l’Università di Birminghma, hanno portato il Museo Salinas all’esterno, sugli schermi e nel cuore dei suoi follower.
La mancanza di fondi e l’assenza o peggio la svalutazione di personale qualificato, sono state colte come una sfida dagli artefici della rinascita del Salinas, la direttrice del Museo l’archeologa Francesca Spatafora e il social media manager Sandro Garrubbo, che cura le strategie di comunicazione. Ovviamente con il coinvolgimento attivo di quanti – archeologi, tecnici, operatori che agiscono all’interno dell’Istituzione – hanno creduto in questa mission e nel nuovo corso impresso alla vita stessa del Museo.
“Un salto nel buio” lo definisce la direttrice Spatafora (nella foto a destra), che avrebbe potuto esporre a critiche un museo di fatto chiuso, ma che con costanza ha dimostrato come “un museo davvero “aperto” non è fatto solo di sale e gallerie accessibili: deve piuttosto essere aperto ai suoi interlocutori, la città e il territorio, e attraverso le testimonianze del passato aiutarli a comprendere la storia per dare radici tenaci al futuro”.
Grazie a un’abile azione di crisis management e tra sacrifici personali ed economici (come quelli del social media manager che paga di tasca propria la chiavetta per “dare voce” al Museo) il Salinas è riuscito a progettare e pianificare azioni comunicative efficaci. E per far passare un’istituzione culturale da una fase autoreferenziale a una autenticamente comunicativa, Garrubbo è partito da due premesse fondamentali: “La prima, che la cultura non è un valore in sé ma – oggi più che mai – un valore relazionale; la seconda, che i nuovi mezzi di comunicazione sono efficaci solo se utilizzano linguaggi connessi con la contemporaneità. Inoltre, l’assenza di tutto (museo chiuso, linee telefoniche disabilitate, adsl inibita ai social) ci ha permesso di fare un’esperienza “da laboratorio” senza condizionamenti e di provare l’efficacia della rete anche senza rete“.
La Bonacini (nella foto accanto) spiega come in questo modo nasca una community digitale in progressiva crescita basata su una relazione bi-direzionale tra museo e follower che da “seguaci” diventano protagonisti attivi di una collettività in cui ciascuno può attingere conoscenza e fornire il proprio contributo, in virtù di una concezione di social innovation che fa della “socialità” un elemento imprescindibile. La linea editoriale seguita è, infatti, quella dello storytelling: storie raccontate con un linguaggio chiaro e ironico, accessibile a tutti, in grado di creare empatia ed emozionare. Con questo stile persino una Netiquette può trasformarsi da decalogo formale in un ironico invito a seguire le buone maniere, se non si vuole “perdere la testa”.
Un trend confermato con la riapertura (del solo piano terra), la prova del nove che in un afoso pomeriggio di fine luglio ha portato all’inaugurazione 2.000 “fan”. “Le “buone pratiche” sono quindi fattibili e – continua Bonacini – il Salinas potrebbe costituire un esempio virtuoso, per quanto perfettibile, in grado di far comprendere a livello politico e decisionale come nulla in questo campo possa essere lasciato al caso: né le professionalità che si occupano di programmazione culturale, né le modalità e le strategie stesse d’azione. Che sia la scintilla di un vero e proprio cortocircuito culturale? Ce lo auguriamo tutti, e per tutti”.