Non conosce l’emozione. O da sempre sa ritagliarle comunque uno spazio in cui riesce a confinarla, trasformando l’ansia in energia da porre al centro della scena. Eppure anche la sua capacità di distacco domenica, salendo sul palco del Teatro Golden, avrà compiuto insieme a lui 32 anni. Tanti ne sono passati dalla prima candidatura di Leoluca Orlando a sindaco di Palermo.
Inutile immaginare un Orlando “a bassa definizione”. Non esiste in natura. Abile nel trasformare una criticità in opportunità e ad andare dialetticamente in contropiede quando fiuta un’insidia. Non trascende mai, senza per questo rinunciare ad affondare i colpi. Populista di governo, oppositore di sistema. Tempista di primo piano. Non è difficile immaginare che il sindaco di Palermo, tra le cose con cui esordirà, porrà attenzione all’appello per un ultimo accorato ”miglio” da percorrere con la sua città.
Magari dichiarerà di avere bisogno di cinque anni di tempo ancora per completare il lavoro già cominciato (nel 1985..), inaugurando un vecchio nuovo discorso con la città. Farà attenzione, come ha fatto in questi mesi a non citare il suo avversario e antagonista principale Ferrandelli a cui potrà riservare una scia di fragorosi sottintesi e di metafore ammiccanti rivolgendosi al suo pubblico di fedelissimi in adorazione. Potrà giustificare la sua scelta di non ricorrere ai simboli con un percorso che in questi ultimi cinque anni ha potuto condurre in questa maniera a mani libere, grazie anche alla poca consistenza di avversari (DEM in testa) ridotti al rango di sparring partner.
Riuscirà persino nel tentativo di non parlare di antipolitica. Principalmente per due ragioni. Si sente “un grillino ante litteram doc” e non si è mai scontrato con il M5S. Un fatto forse meno casuale di quel che si può immaginare. Con Orlando ci dovrebbero essere sei liste e 240 candidati. (Nel 1993 con la Rete si fermò a cinque, nel 1997 ce ne furono 8 attorno a lui).
Proverà a farlo passare come il segno di una scelta condivisa con la società civile, il territorio, i quartieri. In nome di questa dimensione palermitana del resto ha sacrificato velleità più rilevanti, avendo fatto comunque il parlamentare europeo e quello regionale dopo essersi candidato nel 2001 a presidente della Regione. Una rincorsa che non ha più tentato. Scommetterà sui trasporti. Su un piano diverso del traffico, forse, o più semplicemente sul perfezionamento (un eufemismo sincero a quel punto) della viabilità urbana. Difendendo possibilmente la ZTL e tracciando una linea di omogeneità in tal senso con le principali città d’Italia in cui si adotta la stessa misura.
Rivendicherà la Palermo dell’Unesco e parlerà del rilancio delle municipalizzate. Dalla Gesap il fiore all’occhiello, all’Amap, passando anche dall’Amat, che nonostante versi in una situazione drammatica anche a causa dei tanti contratti di servizio non rispettati, rischia di essere dipinta come un’opportunità da rilanciare. Il resto sarà parte di un linguaggio che supporta un messaggio senza cadute di ritmo. Dove gli altri sono il contorno che lui lascia nello spazio minimo e annichilito delle comparse non protagoniste.
Sul capitolo simboli si accettano scommesse. I democrat non possono soccombere proprio ora in preda alle baruffe. In ambito regionale un partito Palermocentrico è da tempo mal sopportato nella Sicilia orientale anche per le personalizzazione eccessiva del tutti contro tutti (Cracolici contro Lupo, Faraone contro Cracolici e via discorrendo)
Il problema non è di ieri, ma sarà di domani. Il fatto è che Orlando non pare intenzionato a cambiare rotta per il futuro. Per nulla. Cosa farà il nuovo Pd? Scende in campo per raggranellare quel sei per cento di sopravvivenza sperando di portare a casa qualcosa? E qui il nuovo vecchio Orlando tirerà il carico da undici sul mantra del “tutti siamo utili nessuno è indispensabile”. A quel punto applausi a scena aperta e tutti a casa per il pranzo della domenica.