Un imprenditore è stato denunciato dai braccianti marocchini che pagava 150-200 euro al mese, a fronte dei 1.000 euro previsti dai contratti collettivi, e avrebbe preteso da loro 8.000 euro, minacciandone il licenziamento, con il pretesto di doverli utilizzare per ottenere la loro regolarizzazione avviando la pratica in prefettura.
L’accusa contestata dalla Procura di Catania è per un imprenditore agricolo di Paternò indagato per sfruttamento del lavoro ed estorsione. Nei suoi confronti carabinieri del Nucleo ispettorato del lavoro, supportati dai militari della compagnia di Paternò, hanno eseguito una misura interdittiva disposta dal Gip che gli impone la sospensione dall’esercizio dell’attività di impresa per un anno. Per la Procura, dalle indagini dei militari del Nil di Catania, supportati dalla compagnia dell’Arma di Paternò, l’imprenditore avrebbe “costretto” i quattro braccianti a “svolgere turni di lavoro estenuanti, senza il riconoscimento di ferie, riposi settimanali ed indennità accessorie e in violazione di ogni regola in materia di sicurezza ed igiene sui luoghi di lavoro”.
L’inchiesta è nata dalla denuncia dei quattro marocchini dipendenti dall’imprenditore, sostenuti dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), nell’ambito del progetto DiAgrAmmi Sud finanziato dal ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, sulle cui dichiarazioni hanno avuto origine gli accertamenti a riscontro dei carabinieri. Durante le perquisizioni delegate all’Arma dalla Procura su terreni di pertinenza dell’azienda agricola, a Ramacca e Paternò, sono stati individuava altri sei lavoratori dei quali quattro impiegati in nero. Per quest’ultima violazione l’imprenditore è stato ulteriormente segnalato.