Non si è presentato neanche questa volta il boss Matteo Messina Denaro all’udienza del processo d’Appello che lo vede coinvolto come mandante delle stragi di Capaci e via D’Amelio che si celebra nell’aula bunker del carcere Malaspina di Caltanissetta. La sedia della postazione di videocollegamento dal carcere de L’Aquila, dove l’ex superlatitante è detenuto, anche questa volta è rimasta vuota. Messina Denaro in primo grado era stato condannato all’ergastolo. Il procuratore Antonino Patti, a conclusione della sua requisitoria ha chiesto la conferma della condanna. Nell’udienza di oggi è prevista l’arringa dell’avvocato Adriana Vella, nominata difensore d’ufficio del boss.
“Non potreste capire quanto sono emozionata e il motivo nasce dalla consapevolezza che la designazione casuale come difensore d’ufficio mi ha dato l’opportunità di essere in un procedimento che entrerà nella storia perché parla di fatti che hanno segnato la storia del nostro paese. La designazione come difensore d’ufficio casuale fa di me l’espressione massima della tutela del diritto di difesa che lo Stato assicura a tutti”. E’ iniziata così l’arringa difensiva dell’avvocato Adriana Vella, difensore d’ufficio di Matteo Messina Denaro, nell’udienza di Appello che si celebra a Caltanissetta e che vede l’ex superlatitante imputato come mandante delle stragi. In primo grado Messina Denaro è stato condannato all’ergastolo. “Oggi – ha detto l’avvocato Adriana Vella – chiederò l’assoluzione dell’imputato. Chiedo che la Corte, che ha la fortuna di essere guidata da un magistrato di eccellenza, sappia giudicare con imparzialità, sappia leggere i motivi di Appello, sgombrandoli dal nome dell’imputato e sappia con la medesima imparzialità ascoltare le mie riflessioni”.
“Non fu Messina Denaro ma Mariano Agate il reggente di Cosa Nostra Trapanese”. E’ su questo assunto che è iniziata l’arringa difensiva dell’avvocato Adriana Vella, difensore d’ufficio di Matteo Messina Denaro, nell’udienza di Appello che si celebra a Caltanissetta, che vede l’ex superlatitante imputato come mandante delle stragi di Capaci e via D’Amelio. “La sentenza della Corte di Assise di Appello di Catania – ha detto l’avvocato Vella – sulla scorta delle dichiarazioni di diversi collaboratori di giustizia, individua in Agate Mariano uno dei mandanti della strage di Capaci. Ed allora è evidente che se il predetto Agate Mariano era uno dei mandanti della strage, lo era o in qualità di capo provincia o di reggente della provincia di Trapani, in sostituzione del padre dell’imputato (Francesco Messina Denaro, ndr) con la conseguenza di dovere ritenere errate le conclusioni a cui sul punto è pervenuta la Corte di Assise nel giudizio di primo grado”.
“La veste di Matteo Messina Denaro come reggente della provincia trapanese, così come sostenuto nella sentenza di primo grado, è smentita emblematicamente anche dal contenuto delle intercettazioni effettuate nel carcere di Opera durante un colloquio tra Salvatore Riina e tale Lorusso, pregiudicato pugliese”. “Nelle parole di Riina – prosegue l’avvocato Vella – il padre dell’imputato viene individuato dal capo indiscusso dell’organizzazione quale capo mandamento e non capo provincia. ‘Ora se ci fosse suo padre buonanima, perché il padre era una brava persona, una bella persona’ dice Riina durante quel colloquio muovendo al contempo un’aspra critica nei confronti dell’imputato per le scelte strategiche fatte da quest’ultimo, ben lontane dalle logiche stragiste, ossia quello di dedicarsi ai profitti derivanti dal mercato dell’eolico”.
“La presunta malattia del padre di Matteo Messina Denaro non gli impedì di avere un ruolo fondamentale nel momento in cui venne deliberato il piano stragista”. “E’ da escludersi che la presunta malattia del padre dell’imputato fosse talmente invalidante – ha continuato il legale – da rendere necessaria una sostituzione o comunque impedire allo stesso non soltanto di ricevere l’informativa ma, altresì, di prestare il consenso. Fondamentali a tal riguardo sono state le dichiarazioni di Francesco Geraci, l’unico al quale l’imputato, in ragione del sentimento di sincera amicizia esistente tra i due avrebbe confidato la malattia del padre. Geraci affermò di avere accompagnato al policlinico il padre di Messina Denaro nel periodo prima delle stragi, che ‘stava male però camminava’. Ricordo inoltre la nota citazione del Brusca, il quale ha più volte affermato che la carica di capo mandamento viene mantenuta ‘vita natural durante’. Negli stessi termini il collaboratore di giustizia Salvatore Cancemi aveva ribadito che la carica di capo mandamento si conserva fino a quando la persona, seppur in agonia, ‘respira nel letto'”.
“Nella cosiddetta ‘missione romana’ per colpire personaggi di rilievo, quali Giovanni Falcone, il ministro Martelli, Maurizio Costanzo e Andrea Barbato, Matteo Messina Denaro recepì l’ordine impartiti da Totò Riina come un mero soldato”. “I soggetti convocati da Riina – continua l’avvocato Vella – come emerge dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Vincenzo Sinacori, si limitarono a recepire l’ordine impartito dal capo di Cosa Nostra, ovvero quello di attuare propositi criminosi mai realizzati. E che l’imputato non conoscesse i successivi e nuovi sviluppi del piano decisi dai vertici di Cosa Nostra è reso evidente, fra l’altro, dalla circostanza, riferita da Sinacori, che tutti i partecipanti alla ‘trasferta’ furono invitati da Riina a tornare in Sicilia ‘perché qui abbiamo trovato cose più grosse’. Tra l’altro, tale espressione utilizzata da Riina non viene nemmeno compresa sul momento da Sinacori, ma solo successivamente alla realizzazione della strage di Capaci. Dunque la circostanza che Riina, senza alcun preavviso, informi i soggetti andati a Roma che non avevano più ragione di continuare la loro attività nella Capitale, senza fornire spiegazione su quali erano ‘queste cose più grosse’ in territorio siciliano dimostra, uno che il piano stragista aveva assunto connotati e finalità ben diverse, e due che di questa nuova connotazione e finalità l’imputato non aveva contezza alcuna”.
“Se devo essere sincera se oggi Matteo Messina Denaro fosse stato presente lo avrei apprezzato. Chi meglio di lui avrebbe potuto darmi ulteriori spunti e suggerimenti in ordine alla mia discussione? Questo è indubbio. Ha rinunciato, è una sua scelta e la rispetto comunque”. E’ quanto ha concluso il legale d’ufficio del boss, l’avvocato Adriana Vella, nel corso di una pausa del processo sulle stragi del ’92 che si celebra nell’aula bunker del carcere di Caltanissetta, rispondendo ad alcune domande dei cronisti. “E’ stato molto difficile preparare la difesa – ha concluso il legale – perché ho dovuto studiare la sentenza, molti atti processuali e mi sono dovuta confrontare anche con sentenze precedenti che sono state acquisite su fatti in cui altri giudici si sono già pronunciati”
Matteo Messina Denaro in primo grado è stato condannato all’ergastolo e il procuratore Antonino Patti, a conclusione della sua requisitoria, ha chiesto la conferma della condanna.
“Sulla scorta delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, nonché delle sentenze irrevocabili acquisite nel corso dell’istruttoria dibattimentale, emerge l’assoluta incertezza dell’effettivo ruolo che Matteo Messina Denaro rivestiva all’interno della compagine mafiosa trapanese”. E’ quanto affermato dall’avvocato Adriana Vella, difensore d’ufficio di Matteo Messina Denaro a conclusione della sua arringa difensiva nel processo che si celebra in corte d’Assise d’Appello a Caltanissetta in cui il boss è accusato di essere il mandante delle stragi del ’92. Il legale nel sottolineare “la mancanza anche solo di elementi indiziari gravi precisi e concordanti in merito alla partecipazione dell’imputato in seno alle riunioni in cui fu deliberato il piano stragista” ha aggiunto che “dalle motivazioni assunte in primo grado non è dato sapere nemmeno in cosa sarebbe consistito il concorso morale di Matteo Messina Denaro negli attentati di Capaci e via D’Amelio”. Non vi è prova – ha detto il difensore – che l’imputato abbia fornito uomini per il compimento delle due stragi, né l’esplosivo utilizzato per il compimento delle stesse, né ancora supporto logistico sempre a tali fini”.
“E’ di tutta evidenza che nella sentenza impugnata – ha concluso il legale chiedendo l’assoluzione – non solo non si è fornita prova diretta del consenso anche tacito dell’imputato alle decisioni delittuose stragiste, così come non vi è certezza del momento in cui l’imputato abbia acquisito consapevolezza che i delitti rientranti in questo piano sarebbero stati caratterizzati da feroce violenza”.
L’udienza è stata rinviata alle 9.30 del 19 luglio, nell’aula “Costa” del Tribunale di Caltanissetta.