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I numeri

Calo delle nascite nel nostro Paese, in Sicilia è record

martedì 20 Agosto 2024

Prosegue il calo delle nascite nel nostro paese, il 2023 ha segnato un nuovo record storico, numeri che scendono a 379 mila da 393 mila dell’anno precedente.

Il tasso di natalità, quindi, possiamo dire sia in calo nel 72% nei comuni, in 6 su 10 è inferiore alla media nazionale. Solo meno di 1 su 10 supera la media Ue. A dirlo sono i dati Istat, Ci sono culle sempre più vuote nel nostro Paese.

In Sicilia, come nel resto del Paese, si è raggiunto un nuovo record di denatalità. I nati sono 36.810 (-425 rispetto al 2021). La riduzione è di quasi un terzo rispetto ai 53 mila nati di inizio millennio. Prosegue il trend negativo passando dal 7,7 per mille del 2021 al 7,6 del 2022, pur mantenendosi più elevato della media nazionale (6,7 per mille abitanti). A livello provinciale il maggior decremento (da 6,9 a 6,5 per mille nel 2022) si riscontra a Messina, che insieme a Enna presenta il valore minimo in regione. In controtendenza Agrigento (da 7,2 a 7,5 per mille), stabili Palermo e Trapani. Invece, il tasso di mortalità è cresciuto dal 12,2 per mille del 2021 al 12,3 per mille del 2022, con un picco del 14,3 per mille registrato nella provincia di Enna.

Di conseguenza, la popolazione residente nella nostra Isola, definita sulla base del censimento al 31 dicembre 2022, ammonta a 4.814.016 residenti, in calo rispetto al 2021 (-19.313 individui; -0,4%), e circa la metà della popolazione vive nelle province di Palermo e Catania (47,3%).

La diminuzione è anche frutto dei valori negativi del saldo naturale e di quello migratorio interno, cui si contrappongono in modo insufficiente i valori positivi del saldo migratorio con l’estero e dell’aggiustamento statistico“.

Una dinamica, ovvero quella del progressivo declino demografico, che pone ovviamente un’ipoteca sul futuro del paese.

Con una popolazione in invecchiamento e senza un ricambio generazionale, i numeri sono destinati a diventare insostenibili per il sistema sociale, per quello previdenziale e sanitario. Con ripercussioni soprattutto sulla parte più debole della società, a partire da chi è in difficoltà economica o di esclusione sociale.

Il 2008 è stato l’ultimo anno di “picco” all’interno della breve crescita demografica avvenuta alla metà degli anni duemila. Da allora la curva discendente non si è più arrestata e ogni anno segna nuovi record negativi. Possiamo dire ultimo anno prima del Covid, da allora la cifra è scesa sotto la soglia psicologica del 7, attestandosi a 6,8 nel biennio 2020-21, fino agli attuali 6,4 secondo le stime preliminari sul 2023.

Nell’arco di 15 anni le nascite sono diminuite di quasi 200 mila unità, oltre un terzo in meno rispetto alla fine degli anni 2000.

Con precisione tra i capoluoghi con il tasso di natalità troviamo Catania che “vince” nel 2021, 8,6 nati ogni mille abitanti. Seguono, con almeno 8 nati per mille residenti, le città di Andria, Barletta e Palermo. Mentre agli ultimi posti spiccano diverse città del nord.

Si tratta di un fenomeno che ha innanzitutto radici strutturali, ovvero legate al fatto che le persone in età fertile, con l’uscita della generazione del boom economico dall’età riproduttiva, sono sempre meno.

Il calo delle nascite è in parte causato dai mutamenti strutturali della popolazione femminile in età feconda, convenzionalmente fissata tra 15 e 49 anni. In questa fascia di popolazione le donne sono infatti meno numerose di un tempo. Quelle nate negli anni del baby-boom (dalla seconda metà degli anni Sessanta alla prima metà dei Settanta) sono quasi tutte uscite dalla fase riproduttiva mentre quelle che oggi ancora vi si trovano scontano l’effetto del cosiddetto baby-bust, ovvero la fase di continua riduzione della fecondità del ventennio 1976-1995 che ha portato al minimo storico di 1,19 figli per donna nel 1995”, dice l’Istat.

Si tratta, quindi, di questioni complesse e connesse a fattori sociali e culturali molto più ampi, che non riguardano solo il nostro paese. Secondo i dati l’investimento complessivo su un insieme di interventi a favore della conciliazione tra famiglia e lavoro possono rappresentare un supporto nella scelta della genitorialità.

Tra questi senza dubbio l’investimento sui congedi parentali, gli assegni per i figli, e servizi per l’infanzia che molto spesso sono ancora poco presenti in molte parti del paese. Questi possono fornire un supporto necessario, anche se non sufficiente. Non c’è una politica pubblica che, da sola, sia in grado di invertire la tendenza. Ma ciò non significa che passi ulteriori in questa direzione siano inutili.

Quali e quanti siano le cause di questo declino certo è che le difficoltà di inserimento nel mercato del lavoro sono ad oggi sempre maggiori, per cui la possibilità di conciliare il lavoro con la famiglia è resa sempre più ardua dalla mancanza di asili nido, di servizi dell’infanzia e di orari prolungati, fino ad arrivare agli spazi nelle scuole.

Tutti servizi che si dovrebbero garantire. Basta una crisi generale a spiegare la scelta di non fare figli? La concezione del futuro condiziona il nostro presente?

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