L’Italia prova a recuperare terreno sugli screening oncologici, ma il Sud continua a mostrare grandi difficoltà. A dirlo è il rapporto 2024 dell’Osservatorio Nazionale Screening (ONS), che restituisce un quadro in chiaroscuro, evidenziando come 17,9 milioni di cittadini sono stati invitati ai programmi di prevenzione oncologica per mammella, cervice uterina e colon-retto, ma hanno risposto poco più di 7,37 milioni di persone, con una copertura media del 41%.
I dati, se confrontati con il 2023, segnano un lieve miglioramento. Lo screening cervicale passa dal 47% al 51% di copertura, la mammografia si assesta al 50%, mentre lo screening colorettale resta fermo al 33,3%, confermandosi il più fragile tra i tre programmi. In altre parole, per mammella e cervice si raggiunge la soglia minima di efficacia, mentre per il colon-retto l’Italia rimane indietro rispetto agli standard europei.
La geografia della prevenzione, però, continua a essere a due velocità. Al Nord quasi un cittadino su due aderisce agli screening, mentre al Sud e nelle Isole le percentuali crollano: per il colon-retto appena il 21% della popolazione target partecipa ai controlli, e anche mammografia e cervice si fermano sotto il 30%. È un divario che supera i 20 punti percentuali e che rischia di trasformarsi in una vera frattura sanitaria.
Nell’Isola
Tra le regioni meridionali, la Sicilia si conferma una delle realtà più problematiche. Gli inviti vengono estesi in misura significativa, spesso in linea o persino oltre la media nazionale, ma la risposta della popolazione rimane drammaticamente bassa.
Per lo screening mammografico, rivolto alle donne tra i 50 e i 69 anni, l’Isola registra un’estensione dell’83,7%, contro il 93,6 della media nazionale. La vera criticità, però, è nell’adesione: solo il 28,3%delle donne partecipa, mentre a livello italiano si sfiora il 50%.
Sul fronte della cervice uterina, i dati sono ancora più contraddittori. La Sicilia, infatti, raggiunge un’estensione degli inviti del 114,9%, quindi superiore alla media nazionale (111%), ma solo il 26,1%delle donne risponde all’appello. In Italia, invece, la media è del 46,9%.
La situazione più critica resta quella dello screening per il colon-retto. In Sicilia gli inviti raggiungono quasi la totalità della popolazione target, con un’estensione del 97,9%, superiore persino alla media nazionale del 94,3%. Ma a fronte di questa copertura, l’adesione crolla e solo il 14,5% dei cittadini tra i 50 e i 69 anni si sottopone al test, meno della metà della media italiana che si attesta al 32,5%.
Questi numeri raccontano un paradosso evidente: gli screening ci sono, ma i cittadini non li utilizzano. Secondo la Fondazione Gimbe e l’Agenas, tra i fattori che incidono sulla scarsa adesione vi sono i tempi di attesa per gli esami di approfondimento e la disponibilità di apparecchiature non sempre adeguate, elementi che rendono più difficile garantire percorsi rapidi e uniformi sul territorio. A questo si aggiunge una scarsa cultura della prevenzione, che porta molte persone, soprattutto nelle aree interne e nei contesti socialmente più fragili, a percepire lo screening come un optional facilmente rinviabile.
Le iniziative per invertire la rotta
La Regione, consapevole di queste difficoltà, sta cercando di colmare il divario con il resto del Paese attraverso una serie di azioni coordinate. Al centro di questa regia c’è il DASOE, che emana i decreti e coordina a livello regionale l’intera rete degli screening oncologici e promuove campagne informative mirate. In prima linea troviamo le ASP siciliane, responsabili della gestione dei centri di screening e dell’attivazione di ambulatori itineranti con i camper, che consentono di portare i servizi direttamente nei territori più lontani dai presidi sanitari, effettuare le analisi di primo livello e inserire i pazienti nei percorsi successivi in caso di esito positivo.
Un ruolo centrale è affidato agli Ordini dei Medici siciliani e ai medici di medicina generale. Gli Ordini lavorano per diffondere la cultura della prevenzione e rafforzare la collaborazione tra professionisti e istituzioni sanitarie, contribuendo a riconoscere gli screening oncologici come una vera priorità di salute pubblica. I medici di medicina generale, invece, rappresentano il livello di prossimità più concreto: attraverso il rapporto diretto e quotidiano con i pazienti hanno la possibilità di sensibilizzare, informare e accompagnare le persone nella scelta di aderire ai programmi di prevenzione.
“Una cosa è certa: la diagnosi precoce salva la vita – aggiunge -. Per questo puntiamo su campagne di sensibilizzazione capillari, strumenti digitali più efficaci e sul coinvolgimento diretto degli Ordini dei Medici e dei medici di medicina generale, così da ridurre le diseguaglianze di accesso e avvicinare la Sicilia agli standard delle altre regioni”.
“La vera sfida è far comprendere che lo screening non è una perdita di tempo, ma un investimento sulla propria salute. Per riuscirci occorre ricostruire un rapporto di fiducia: solo se le persone si sentiranno accompagnate e ascoltate saranno davvero motivate. La prevenzione deve diventare una consuetudine, parte integrante della vita quotidiana”, conclude Scalzo.