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Lo studioso

Bronzi di Riace, nuova pista dalla Sicilia. Madeddu: “Otto testimoni sono troppi per ignorarli”

martedì 16 Settembre 2025

Otto testimoni ormai sono davvero tanti. Probabilmente l’archeologo americano Ross Holloway aveva davvero ragione quando nel 1988 scrisse che i Bronzi di Riace erano stati trovati nel mare siciliano e da lì trafugati in Calabria”.

Con queste parole l’esperto Anselmo Madeddu, medico e studioso di bronzistica greca, riporta al centro del dibattito una vicenda mai davvero chiusa. L’ipotesi di un’origine siciliana dei Bronzi non è nuova. Già negli anni Ottanta l’archeologo americano Ross Holloway e la collega Anne Marguerite McCann avevano messo in dubbio la versione ufficiale del ritrovamento a Riace. Le loro tesi, però, furono presto accantonate.

Negli ultimi anni, però, il quadro è cambiato. Nuove testimonianze raccolte a Brucoli, in provincia di Siracusa, raccontano di movimenti sospetti nei fondali negli anni Settanta: barche, sommozzatori, casse issate di notte. Non solo. Un recente studio coordinato dallo stesso Madeddu e dal geologo Rosolino Cirrincione, del Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali dell’Università etnea, ha evidenziato che le terre delle saldature dei due guerrieri presentano caratteristiche geochimiche compatibili con i suoli del siracusano. Un dato che, pur non rappresentando una prova definitiva, aggiunge un tassello decisivo a una ricostruzione sempre più complessa.

In questo mosaico entra un altro elemento affascinante: l’ipotesi di un terzo bronzo. Con lui ci sarebbero state anche altre statue e armi. Alcuni studiosi, già negli anni Settanta, sostenevano che i due guerrieri non fossero soli. Forse facevano parte di un gruppo più ampio, forse di un complesso votivo o celebrativo. Nelle carte e nelle cronache dell’epoca si parla di un Bronzo C mai ritrovato, insieme a elmi, scudi e lance che sarebbero scomparsi misteriosamente. Se confermata, questa teoria trasformerebbe i Bronzi di Riace da capolavori isolati a frammenti superstiti di un patrimonio sottratto e occultato.

Su questa base, Madeddu rilancia che: “Forse siamo davvero davanti a una incredibile storia di archeomafia che qualcuno il secolo scorso tentò invano di seppellire per sempre, e che ora sta, sempre più inesorabilmente, venendo a galla, come un Vaso di Pandora che non si ferma più. A breve uscirà un nuovo studio scientifico che insieme ad altri 15 studiosi di sei Università italiane, compresa Catania, stiamo per pubblicare su una prestigiosa rivista internazionale. Uno studio che aggiungerà un nuovo fondamentale tassello scientifico alla ricostruzione della vera storia di questi due straordinari capolavori. Quel che è certo ormai è che la loro vecchia Storia dovrà essere interamente riscritta”.

Se l’ipotesi troverà conferma, non sarà soltanto una rivoluzione per la storiografia dell’arte antica, ma anche l’ennesimo caso in cui l’Italia dovrà fare i conti con un patrimonio culturale segnato da ombre, traffici e depistaggi. E i due guerrieri che oggi accolgono migliaia di visitatori a Reggio Calabria diventerebbero il simbolo non solo della bellezza classica, ma anche di una verità rimossa, finalmente tornata in superficie.

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