“Non vi può essere vera libertà senza giustizia sociale, come non vi può essere vera giustizia sociale senza libertà“. E’ certamente una delle frasi più celebri di Sandro Pertini.
Ricorrono oggi, 25 settembre, i 129 anni dalla nascita del presidente più amato dagli italiani. Partigiano, socialista, dal carattere fermo, inflessibile e determinato, una figura quasi anticonvenzionale per un ruolo come quello di presidente della Repubblica, che ricoprì dal 9 luglio 1978 al 29 giugno 1985.
Dalla lotta al fascismo al Quirinale
Nato a Stella in provincia di Savona nel 1896, da giovane prese parte alla Prima Guerra Mondiale e studiò Giurisprudenza e Scienze politiche. Nel primo dopoguerra iniziò la carriera politica e per sfuggire alla repressione organizzata dal regime fascista, andò esule in Francia. Rientrato clandestinamente in Italia nel 1929, fu arrestato e detenuto per 14 anni, prima in carcere e poi al confino. Liberato dopo il crollo del fascismo, fu uno dei dirigenti politici più importanti della resistenza. Sia da deputato che nelle vesti di senatore riuscì a lasciare il segno in maniera indelebile nella storia della Repubblica italiana.
Un presidente che riusciva a parlare con semplicità e disinvoltura a tutto il popolo italiano, anche grazie ai suoi modi spontanei e diretti, capace di contraddistinguersi con piccoli gesti, come la scelta di non trasferirsi al Quirinale e di continuare a vivere nella piccola casa presso la Fontana di Trevi o la decisione di conferire per la prima volta l’incarico di formare il Governo a esponenti politici non appartenenti alla Democrazia Cristiana: il repubblicano Spadolini e il socialista Craxi, con il quale, per altro, si trovava spesso in disaccordo.
Tante sono infatti le immagini e le forti prese di posizioni impresse nella memoria collettiva, dagli eventi più tragici, come le dure critiche in occasione del terremoto dell’Irpinia, a quelli più sociali, come i Mondiali di calcio del 1982. Celebri sono le foto che lo ritraggono allo stadio mentre esulta o sull’aereo di ritorno mentre gioca a carte con Dino Zoff e Franco Causio e il ct azzurro Enzo Bearzot.
Morì a Roma il 24 febbraio 1990.
Il forte legame con la Sicilia
Pertini ebbe anche un forte legame con la Sicilia, dimostrandosi particolarmente sensibile su alcuni temi, come quello della lotta alla mafia.
Negli anni cinquanta, con agli avvocati socialisti Nino Taormina e Nino Sorgi rappresentò la parte civile di Francesca Serio, madre del sindacalista socialista Salvatore Carnevale, assassinato dalla mafia il 16 maggio 1955 a Sciara, in provincia di Palermo, perché impegnato nelle lotte contadine contro il latifondismo e per la redistribuzione delle terre. Fu la prima donna nella Sicilia degli anni 50′, con il supporto del PSI nazionale e di una grande campagna di stampa del quotidiano socialista “Avanti”, a spezzare l’omertà mafiosa, denunciando formalmente al procuratore della Repubblica di Palermo gli assassini del figlio, con nomi e cognomi.
Risuona invece come un tragico presagio l’incontro con Piersanti Mattarella. Dal 9 al 12 novembre del 1979 il presidente della Repubblica si recò in Sicilia e la foto che lo ritrae al fianco dell’allora presidente della Regione, dimostrandogli tutto il suo appoggio e la sua vicinanza, è storica. Appena due mesi dopo, il 6 gennaio 1980, infatti, Mattarella verrà brutalmente ucciso dalla mafia. Anni difficili e complessi per la città di Palermo, che viveva in quel momento uno dei periodi più bui.
Un impegno, quindi, portato avanti anche nelle vesti di presidente della Repubblica. Ne sono un esempio concreto i discorsi di fine anno del 1982 e del 1983.
Nel 1982 parlò espressamente del problema mafioso, ricordando le figure di Pio La Torre e di Carlo Alberto dalla Chiesa, entrambi assassinati da Cosa Nostra: “Vi sono altri mali che tormentano il popolo italiano: la camorra e la mafia. Quello che sta succedendo in Sicilia veramente ci fa inorridire. Vi sono morti quasi ogni giorno. Bisogna stare attenti a quello che avviene in Sicilia e in Calabria e che avviene anche con la camorra a Napoli. Bisogna fare attenzione a non confondere il popolo siciliano, il popolo calabrese ed il popolo napoletano con la camorra o con la mafia. Sono una minoranza i mafiosi. E sono una minoranza anche i camorristi a Napoli. Prova ne sia questo: quando è stato assassinato Pio La Torre, vi era tutta Palermo intorno al suo feretro. Quando è stato assassinato il generale Dalla Chiesa, con la sua dolce, soave compagna, che è stata più volte qui a trovarmi, proprio in questo studio, tutta Palermo si è stretta intorno ai due feretri per protestare. Quindi il popolo siciliano, il popolo calabrese ed il popolo napoletano sono contro la camorra e contro la mafia“.
Un argomento sul quale ritornò l’anno successivo, anno della morte di Rocco Chinnici: “Il popolo siciliano non deve essere confuso con la mafia. Il popolo siciliano è un popolo forte, popolo che ben conosco, perché negli anni passati, quando ero propagandista del mio partito, ho girato in lungo e in largo la Sicilia. Li ho conosciuti nella prima guerra mondiale i giovani siciliani, con il loro coraggio e la loro fierezza. Il popolo siciliano è un popolo forte, generoso, intelligente. Il popolo siciliano è il figlio di almeno tre civiltà: la civiltà greca, la civiltà araba e la civiltà spagnola. È ricco di intelligenza questo popolo. Quindi non deve essere confuso con questa minoranza che è la mafia. È un bubbone che si è creato su un corpo sano. Ebbene, con il bisturi, polizia, forze dell’ordine, governo debbono sradicare questo bubbone e gettarlo via, perché il popolo siciliano possa vivere in pace“.