Si sono chiuse ieri, lunedì 24 novembre, le Regionali che hanno chiamato al voto oltre 11 milioni di elettori in Veneto, Puglia e Campania. Le elezioni regionali del 2025 hanno confermato l’assetto politico preesistente, con il Centrodestra che mantiene saldamente il Veneto e il Centrosinistra che consolida la sua presenza nel Sud, conquistando sia la Campania che la Puglia, in entrambi i casi grazie all’alleanza con il Movimento 5 Stelle (M5s).
La consultazione, svoltasi su due giorni (domenica 23 e lunedì 24 novembre), ha segnato il passo, almeno sul fronte della partecipazione, con un dato di affluenza in netto e preoccupante calo in tutte e tre le regioni rispetto alla tornata precedente del 2020.
Nonostante ciò, i risultati finali hanno già delineato un quadro politico in evoluzione, con nuovi volti pronti a raccogliere l’eredità di Presidenti storici che, per la prima volta, non erano ricandidabili a causa del limite dei due mandati.
I risultati delle Elezioni Regionali 2025: continuità e novità
Veneto: si conferma il Centrodestra
In Veneto, il Centrodestra ha trionfato, raccogliendo l’eredità lasciata dal governatore uscente Luca Zaia.
Il nuovo Presidente eletto è Alberto Stefani (Lega), che ha conquistato la vittoria con una percentuale superiore al 60% dei voti. Sebbene non abbia raggiunto i picchi plebiscitari del suo predecessore (che nel 2020 superò il 70%), il risultato è inequivocabile.

La coalizione di Centrodestra ha visto la Lega primeggiare, risultando il primo partito, con un consenso che si attesta tra il 19-21%. Fratelli d’Italia (FdI) ha confermato una crescita significativa anche al Nord, posizionandosi come seconda forza della coalizione (intorno al 17-19%). Segue Forza Italia (FI) con un risultato stabile intorno all’8-9%.
Il candidato del centrosinistra, Giovanni Manildo, sostenuto da una coalizione ampia che includeva il Partito Democratico (PD) e l’M5S, si è fermato in una forbice tra il 32% e il 36%. Il Partito Democratico si è confermato il perno dell’opposizione con circa il 14-15% dei voti, mentre il Movimento 5 Stelle ha raccolto un consenso più contenuto, nell’ordine del 2-3%.
Puglia: il successo del “campo largo”
In Puglia, il Centrosinistra, unito in una configurazione definita “campo largo”, ha ottenuto una vittoria schiacciante.
Il nuovo Presidente eletto è Antonio Decaro (PD), ex sindaco di Bari, che ha superato il 60% delle preferenze. La sua vittoria è stata interpretata come il successo della strategia di unione delle forze progressiste, inclusa l’area di centrosinistra e il Movimento 5 Stelle.

Le liste a sostegno di Decaro hanno visto il Partito Democratico affermarsi come primo partito regionale. Il Movimento 5 Stelle ha contribuito in maniera determinante al successo della coalizione, ottenendo un risultato robusto che lo conferma come forza trainante nel Mezzogiorno.
La coalizione di Centrodestra, che sosteneva il candidato Luigi Lobuono, si è attestata intorno al 32-36%. All’interno della coalizione, Fratelli d’Italia ha rappresentato la forza principale, seguita da Forza Italia e Lega, con quest’ultima in lieve flessione rispetto alle aspettative.
Campania: Fico vince con “l’Alleanza Progressista”
Anche in Campania, il Centrosinistra ha prevalso, con Roberto Fico (ex Presidente della Camera dei Deputati) eletto Governatore con circa il 60,63% dei voti, secondo i dati definitivi.
Fico, sostenuto da una coalizione che ha visto l’alleanza tra il Partito Democratico (18,41%) e il Movimento 5 Stelle (9,12%), oltre a diverse liste civiche come A Testa Alta (8,34%) e Avanti Campania (5,89%), ha dominato lo scenario. La somma delle liste a suo sostegno ha raggiunto il 61,20%.
Lo sfidante del Centrodestra, Edmondo Cirielli, ha ottenuto il 35,72% dei voti. La sua coalizione, che ha raccolto il 35,24% delle liste, vedeva Fratelli d’Italia (11,93%) come primo partito, seguito da Forza Italia (10,72%) e dalla Lega (5,51%).
Il risultato campano evidenzia la forza del Centrosinistra unito e la capacità di Fico di mobilitare un vasto consenso, superando in modo netto il Centrodestra.
L’astensionismo come “Primo Partito”: perché?
Il dato più rilevante e preoccupante di questa tornata elettorale è il crollo verticale dell’affluenza, un fenomeno che ha trasformato l’astensionismo nel vero “primo partito” in tutte e tre le regioni chiamate al voto.
L’affluenza definitiva è scesa a livelli storicamente bassi, con un calo medio di circa 14 punti percentuali rispetto alle regionali del 2020:
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Veneto: Affluenza definitiva al 44,64% (contro il 61,16% del 2020).
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Campania: Affluenza definitiva al 44,06% (contro il 55,52% del 2020).
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Puglia: Affluenza definitiva al 41,83% (contro il 56,43% del 2020).
Questo trend in discesa non è isolato, ma si inserisce in una crisi di partecipazione che affligge le democrazie occidentali, in particolare in Italia. La marcata flessione è indice di un profondo malessere e di una crescente disaffezione verso le istituzioni regionali e la politica in generale.
Quali le possibili cause?
Le ragioni dietro l’aumento dell’astensionismo sono molteplici e complesse:
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Disaffezione istituzionale e mancanza di fiducia: La causa strutturale primaria è la diffusa sfiducia nei confronti della classe politica. Molti elettori, in particolare i giovani e le fasce socio-economiche più vulnerabili, ritengono che il voto non abbia un impatto reale sulla loro vita concreta. Questo sentimento è alimentato dalla percezione di inefficacia della politica locale e nazionale nel risolvere problemi cronici come l’occupazione, la sanità e la qualità dei servizi pubblici.
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Astensione come “protesta selettiva”: L’astensione non è sempre sinonimo di apatia, ma spesso rappresenta una forma di protesta passiva o “voto disimpegnato”. L’elettore non si riconosce nell’offerta politica attuale e, non volendo avallare i candidati esistenti, sceglie di non votare.
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L’assenza di figure polarizzanti (Fattore Zaia e De Luca): Nelle precedenti elezioni del 2020, la presenza di figure carismatiche e divisorie come Luca Zaia in Veneto e Vincenzo De Luca in Campania (entrambi non ricandidabili nel 2025) aveva contribuito a trainare l’affluenza. L’assenza di questi “giganti” locali ha lasciato un vuoto di mobilitazione emotiva e popolare, in particolare al Nord, dove il voto plebiscitario per Zaia aveva gonfiato la partecipazione.
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Frammentazione del calendario elettorale: La percezione di elezioni “minori” o la frequente chiamata alle urne per diverse consultazioni locali e nazionali (il cosiddetto “iper-frammentazione”) riduce l’interesse mediatico e la portata percepita dell’evento, scoraggiando la partecipazione.
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Fattori socio-economici: l’astensione è spesso più elevata tra le fasce di popolazione con basso reddito, minor istruzione e occupazione precaria (i cosiddetti “gruppi vulnerabili”). Il voto viene percepito come un lusso o un’attività poco prioritaria di fronte alle difficoltà economiche quotidiane.
Il trend attuale mostra una contraddizione allarmante: da un lato, i candidati vincitori (Stefani, Decaro, Fico) hanno ottenuto percentuali molto alte (spesso oltre il 60%), creando l’illusione di un forte consenso; dall’altro lato, questa alta percentuale è stata ottenuta con la partecipazione di una minoranza di elettori.
Il risultato è un sistema in cui i vincitori sono fortemente legittimati solo dalla metà o meno degli aventi diritto. Questo fenomeno rafforza la polarizzazione tra chi partecipa attivamente al dibattito politico e una fetta crescente della popolazione che si sente esclusa o non rappresentata, un elemento di fragilità per la rappresentatività democratica delle istituzioni regionali.
FONTE DATI – ELEZIONI REGIONALI 2025 PIATTAFORMA ELIGENDO




