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Nel ventottesimo anniversario della strage di via D’Amelio in cui morirono il giudice Paolo Borsellino e gli agenti della scorta Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina, ‘Bar Sicilia’, la trasmissione condotta da Manlio Melluso e Maurizio Scaglione, nella sua centoventesima puntata arriva a casa di Salvatore Borsellino, fratello del giudice ucciso dalla mafia.
Sull’attentato del 19 luglio 1992 ancora sono tante le domande alle quali non è stata data una risposta. La più inquietante è sicuramente ‘Fu Strage di Stato?‘. Per Salvatore Borsellino non ci sono dubbi: “Mio fratello era come un soldato che era andato in guerra a combattere il nemico. Se tu vai in guerra e vieni ucciso dal fuoco che ti arriva dalle spalle, di quelli che avrebbero dovuto combattere insieme a te, allora questo non è normale. Queste sono ferite che una volta aperte non si richiudono più, a meno che non si abbiano verità e giustizia, ma oggi sono lontane”.
Non tutto il tempo è stato perduto, però, come lo stesso Salvatore Borsellino ricorda: “Dopo processi in cui è stato messo in atto il più grande depistaggio della storia del nostro Paese, quello fondato su Vincenzo Scarantino, nel Borsellino quater, finalmente – ricorda il fratello del giudice –, si è affermato che c’è stato un depistaggio portato avanti da funzionari dello Stato“.
Via D’Amelio e la trattativa Stato-mafia, due filoni processuali che finiscono col ricongiungersi nei fatti, secondo Salvatore Borsellino: “Ritengo che mio fratello sia stato ucciso perché prima di quel 19 luglio lui era venuto al corrente della trattativa, e quella trattativa lui l’avrebbe denunciata all’opinione pubblica. Pensate cosa sarebbe successo se Paolo avesse denunziato una trattativa tra lo Stato e la mafia che aveva assassinato Giovanni Falcone: una rivoluzione. Come sarebbe successa una rivoluzione in fase giudiziaria se a Paolo fosse stato concesso si andare a testimoniare a Caltanissetta. Avrebbe dovuto essere ascoltato una settimana dopo il suo assassinio“.
Ma uccidere Paolo Borsellino non sarebbe bastato: “Bisognava anche fare sparire l’agenda rossa – dice l’ingegnere Borsellino –, in cui Paolo appuntava tutte le sue conoscenze, le rivelazioni dei collaboratori di giustizia come Gaspare Mutolo, che per primo parlava delle infiltrazioni della mafia all’interno delle istituzioni, o come Leonardo Messina. Bisognava che qualcuno fosse lì in via D’Amelio ad aspettare che ci fosse quell’esplosione per prendere la borsa di Paolo, allontanarsi, sottrarre l’agenda e poi riportare la borsa nella macchina“. Ed è a questo punto che Salvatore Borsellino parla del lavoro del movimento delle Agende Rosse per ricostruire la verità: “Siamo stati noi a cercare di radunare tutte le riprese che siamo riuscii a trovare, metterle insieme nella sequenza giusta e cercare di identificare le persone. Siamo riusciti a identificare quel generale Emilio Borghini al quale molto probabilmente Arcangioli ha consegnato la borsa“.
Dopo aver ricordato come alle stragi del 1992 in Sicilia seguirono quelle del 1993 nello Stivale, Borsellino rilancia sulla trattativa: “L’attentato più grande, quello allo stadio Olimpico, in cui sarebbero morti centinaia di persone e di agenti delle forze dell’ordine, non c’è stato“. Perché? “La trattativa si era conclusa“, afferma l’ingegnere Borsellino.
Ancora una volta critico il giudizio di Salvatore Borsellino sull’ex capo dello Stato Giorgio Napolitano: “Da Presidente della Repubblica ha sollevato un conflitto di attribuzioni perché venissero distrutte delle intercettazioni. Invece, da Capo dello Stato, avrebbe dovuto richiedere che venissero pubblicate“.
Una battuta anche sulla vicenda che di recente ha riguardato il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede e il magistrato Nino Di Matteo: “Non è stato sicuramente Bonafede a delegittimare Di Matteo – afferma Borsellino – Certo, il ministro sulla vicenda ha detto ‘la prossima volta non ci saranno opposizioni’, ma dicendo così ha affermato che in precedenza ci sono state. A Bonafede chiederò da chi sono arrivate le preclusioni“.
L’anniversario della Strage di via D’Amelio, infine, una celebrazione che Borsellino non vuole divisiva, ma nemmeno retorica e tanto meno ‘macchiata’ da presenze non gradite: “Purtroppo via D’Amelio sembra un posto dal quale si deve fuggire. Vero è che io e tanti altri siamo da anni in via D’Amelio perché persone non degne di ricordare Paolo vengano a portare i loro simboli di morte, in quel luogo che soprattutto mia madre ha voluto diventasse un luogo di speranza e di vita. Per me – conclude – il 19 luglio è un momento che voglio vivere insieme a mio fratello, chi vuole venire con me ed è degno di ricordare Paolo è ben accetto“.