Oggi la formazione professionale rappresenta un problema invece che una risorsa per l’economia siciliana. Un vero e proprio sacrilegio per una terra che ha grande fame di impresa e lavoro. Qualsiasi scelta politica assumerà, il nuovo governo regionale dovrà fare i conti con il destino degli 8.500 lavoratori del settore e con i mali atavici che l’hanno portato a prendere le sembianze di un mostro famelico in grado di divorare centinaia di milioni di euro.
Da anni, il comparto si trova in una situazione di stallo dalla quale non riesce ad uscire. Dopo il periodo delle vacche grasse nel quale la politica ha utilizzato gli enti per alimentare assistenzialismo e consenso elettorale, il governo precedente aveva tentato di mettere un argine a questa deriva micidiale senza tuttavia trovare una soluzione definitiva.
Il fatidico Avviso 8, pubblicato nel giugno del 2016, che avrebbe dovuto finanziare l’offerta formativa del nuovo triennio, stenta ancora a partire a causa delle vicissitudini giudiziarie seguite al ricorso degli enti esclusi dalla graduatoria.
L’ultimo bando regionale per il finanziamento delle attività risale all’Avviso 20 del 2010, mentre qualche ente continua ancora a lavorare grazie all’IeFP, ovvero i percorsi frequentati dagli studenti medi superiori che vogliono concludere gli ultimi due anni dell’istruzione obbligatoria frequentando un corso professionalizzante. Nel frattempo centinaia di lavoratori hanno cominciato a non prendere più lo stipendio, mentre altrettanti hanno perso il posto a causa del fallimento degli enti di appartenenza alle prese con le minori entrate o travolti dagli scandali che hanno coinvolto i loro dirigenti. Il sistema, infatti, è diventato insostenibile sia per la continua richiesta di denaro pubblico sia per i sempre più frequenti casi di malversazione sfociati in inchieste giudiziarie.
Emblematiche a questo proposito sono le vicende del Cefop, da un lato, e dell’Anfe, dall’altro. Il primo per l’elevato numero di assunzioni fatte in corrispondenza dei periodi elettorali, che lo ha portato ad avere 1.200 dipendenti. Un numero di stipendi difficile da garantire per un ente che vive di finanziamenti pubblici. Il secondo per la distrazione da parte del suo amministratore dei fondi destinati al funzionamento dell’ente a fini personali, per l’acquisto di beni come un’auto di grossa cilindrata, gioielli e orologi di lusso. Al di là delle convenienze politiche di piccolo cabotaggio che hanno guidato il settore è evidente che il sistema dei controlli non ha funzionato.
L’unica soluzione possibile per rilanciare la formazione professionale nell’Isola, con i suoi 8.500 lavoratori, è quella di farla funzionare mettendo come unico criterio guida l’incontro tra la domanda e l’offerta di lavoro. Per farlo però bisogna curare una volta per tutti i mali che da circa 20 anni l’hanno condannata a diventare un modello straordinario di spreco e clientelismo. Al presidente della Regione Siciliana, Nello Musumeci, e al suo assessore al ramo, Roberto Lagalla, l’ardua sentenza.