Ringrazio ilSicilia.it, il suo Editore e il Direttore Responsabile, che, da oggi, affidano a me, Patti Holmes, nipote del più famoso Sherlock, di scovare, con la sua lente d’ingrandimento, ogni Santo giorno, i tanti culti religiosi che animano la nostra amata Isola.
Agirò, ovviamente, aiutata dai miei indispensabili Watson, preziosi informatori sparsi in ogni angolo della Trinacria. Amando le indagini, cosa che voi cari lettori, non conoscendomi, non potete sapere, voglio condurvi alla meta attraverso una serie di indizi.
Siamo diretti: 1) Nella Sicilia occidentale; 2) in una cittadina del Palermitano, con un nome dall’origine incerta; 3) che un’ipotesi farebbe derivare dal greco-bizantino χώραλέων, il “paese di Leone” (cosa che ci condurrà al Santo Protettore e che, una volta di più, conferma che il caso non è mai un caso); 4) un’altra, dall’arabo Qurlayun; 5) un’altra ancora, dal latino Curilionum; 6) e, via via, dal normanno Coraigliòn, dall’aragonese Conillon, fino ad arrivare alle forme italiane, oggi desuete, di Coriglione e Coniglione, e all’attuale, in realtà dal 1556, che è quello di Corleone.
Ladies and Gentlemen, la nostra meta di oggi, quindi, è Corleone e la “Festa di San Leoluca Abate”. Prima di addentrarci nella solennità religiosa, però, vogliamo raccontarvi, brevemente, vita e opere di questo uomo straordinario.
Nato da Leone e Teofisti, pii benestanti, crebbe forte e virtuoso in un’atmosfera di grande spiritualità. Alla morte dei genitori, appena ventenne, sentendo forte la chiamata del Signore e abbandonato il paese natio, si ritirò nel monastero basiliano di San Filippo d’Agira, in territorio di Enna, dove si fermò per un breve periodo. Avendo, però, intenzione di condurre vita eremitica, dopo un pellegrinaggio che lo condusse a Roma, in visita alla tomba dei santi apostoli Pietro e Paolo, si ritirò in Calabria, accolto nel monastero basiliano di Santa Maria di Vena, presso l’attuale Vibo Valentia, dove ricevette il nome di Luca dall’abate Cristoforo che, prima di morire, gli affidò la guida della comunità.
La fama della sua santità e la vigoria delle sue azioni presto si diffusero in tutta la regione, facendo accorrere quanti erano sofferenti nello spirito e nel corpo. Alla veneranda età di cento anni, prevedendo il giorno della sua morte e chiamando a sé i frati, nominò come suo successore il monaco Teodoro.
Appena spirato, il primo marzo del 915 – era nato a Corleone nell’815 – un inteso profumo di viole, che per molto tempo continuò a sentirsi attorno alla sua tomba, si diffuse in ogni angolo del convento. Intanto, un giovane frate, da parecchio tempo afflitto da febbre perniciosa, pur barcollando, accostandosi al corpo esanime del vecchio abate e baciandone il santo volto, fu istantaneamente guarito. Da qui iniziò la lunga serie di miracoli che lo portarono a essere proclamato Santo appena subito dopo la morte. I corleonesi lo vollero chiamare San Leoluca, unendo al nome di battesimo Leone, quello monacale di Luca.
La devozione nei suoi confronti, che lo portò ad essere Patrono di Corleone, esplose nel 1575 quando si ritenne che, per sua intercessione, la cittadina passò indenne un’ondata di peste. Crebbe, ulteriormente, durante la pestilenza del 1624 che vide, in segno di ringraziamento, la costruzione di una chiesa a lui dedicata. Il suo culto è molto diffuso sia nel territorio di Corleone, che di Vibo Valentia.
Secondo alcune teorie, che si aggiungerebbero a quelle già fatte, Corleone deriverebbe da Cor Leonis, cioè terra di Leone, così come Vibo Valentia da Mons Leonis, cioè Monte di Leone. Ogni anno, il primo marzo, il simulacro di San Leoluca viene portato in processione per le vie di Corleone tra grandi falò, le cosiddette luminiane. I confrati, in compagnia del collega Abate Sant’ Antonio, lo portano a spalle correndo dalla piazza Falcone Borsellino alla cappella di “Santu Lucuzza”, in fondo al paese. La corsa ricorda una leggenda: Giuseppe Garibaldi, per prendere Palermo, mandò il colonnello Vincenzo Giordano Orsini, con alcuni suoi uomini, sulla via di Corleone in una finta fuga. Da qui l’Orsini esplose alcune cannonate sull’Esercito Regio che lo inseguiva, per poi continuare la marcia. Il paese, restato in balia dei borbonici, temette un massacro; ma San Leoluca, comparso in cielo, riuscì a salvare i suoi concittadini.
Quest’anno, in occasione delle celebrazioni del Santo, il primo marzo dalle 10 alle 14 e dalle 16 alle 17, nel complesso monumentale di S. Agostino è fruibile al pubblico “Storia di San Leoluca“, un’opera, costituita da venti formelle in ceramica dipinta, realizzata tra il 2005 e il 2017 dall’artista Biagio Governali, che illustra episodi salienti della sua vita. L’iniziativa giunge in seguito a una delibera della commissione prefettizia corleonese che ha accettato la donazione di alcune tra le opere più significative dell’artista, tra cui la citata “Storia di San Leoluca”, esposte, in una mostra permanente, proprio nel complesso monumentale di S. Agostino. Sempre il 1° marzo, alle 12, la Fanfara dei Carabinieri si esibisce nella Piazza Falcone e Borsellino per condividere insieme alla cittadinanza la celebrazione del Santo Patrono. A San Leoluca è dedicato, anche, un antico rosario in lingua siciliana. Sui grani grossi: Nui ludamu a vui cu amuri; San Leoluca prutitturi; vui scansati a nui divoti, di flagelli e tirrimoti. Sui grani piccoli: protettori gluriusu; deh! Mustivu pietusu; li flagelli vui fermati; chi cci sunnu minacciati; semu rei, lu cunfussamu, ma pintuti in vui spiramu, cuncidutici la sorti, di ajutarni in vita e morti.
Dopo il sacro, ritorniamo al profano per chiudere con una piccola suggestione, sempre legata al nome di Corleone. Il paese, nel Medioevo, fu popolato da coloni lombardi, guidati da Oddone di Camerana. Ai Normanni, che avevano appena preso possesso della Sicilia, quei settentrionali piacevano così tanto da creare vere e proprie isole linguistiche gallo-italiche. E se il nome di Corleone derivasse da Cor Leone, cioè da Cuor di Leone, e fosse legato a Riccardo Cuor di Leone, figlio del re d’Inghilterra Enrico II e di Eleonora d’Aquitania? Forse a me, per la mia discendenza dall’investigatore di Baker Street, piacerebbe quest’ultima ipotesi ma, citando lo zio Sherlock, non mi resta altro da dire che: “Una volta eliminato l’impossibile, ciò che resta, per quanto improbabile, potrebbe essere la verità“.
Alla prossima dalla già vostra Patti Holmes.