E’ rischio prescrizione per le accuse rivolte all’ex pm Antonio Ingroia, imputato di peculato. A dicembre del 2023 l’ex magistrato, condannato in primo grado a un anno e 10 mesi, era stato assolto in appello. Ma le motivazioni della sentenza che scagiona Ingroia, non sono mai state depositate.
Dal verdetto sono trascorsi 14 mesi, molto oltre il termine massimo di 180 giorni, che una proroga per motivi di particolare complessità, aveva concesso ai magistrati. Senza il deposito delle motivazioni, che spiegheranno perché la corte, al contrario del giudice di primo grado, ha assolto l’ex pm dall’accusa di essersi intascato illegittimamente 10 mila euro a titolo di rimborso spese nel periodo in cui ricopriva la carica di liquidatore della società a capitale interamente pubblico Sicilia e Servizi, la Procura generale non potrebbe fare ricorso in Cassazione.
Il reato di peculato si prescrive a fine 2026, tra un anno dunque. E difficilmente una sentenza definitiva, specie in caso di nuovo rinvio da parte dei giudici romani alla corte d’appello di Palermo, potrebbe arrivare in tempo.
“Ci sono voluti sette anni ma alla fine giustizia è fatta. E’ stato riconosciuto che il mio lavoro in Sicilia e-Servizi è stato corretto e ha fatto risparmiare milioni di euro ai contribuenti siciliani. Ho ridotto le spese di quel carrozzone da qualche centinaio di milioni di euro a sette milioni. Ho presentato denunce sugli sperperi degli anni passati, ma anziché perseguire quei filoni sono finito io sotto accusa in fondo per inezie rispetto allo sperpero degli anni passati”, commentò Ingroia dopo l’assoluzione.