Le elezioni regionali siciliane si sono concluse e il primo deputato è stato arrestato, ma ancora la Commissione parlamentare antimafia deve pronunciarsi sui cosiddetti impresentabili. Come ha spiegato la presidente Rosi Bindi la valutazione è in corso: “dobbiamo fare ancora alcune verifiche, il nostro lavoro è reso difficile dalla mancanza di strumenti di conoscenza. E parliamo non di dati riservati ma di dati che dovrebbero essere pubblici e a cui ciascun cittadino dovrebbe poter accedere. Mi auguro che nel giro di pochi giorni lo possiamo fare”.
Per l’esponente della Commissione “il senso del nostro lavoro, in queste elezioni come nelle precedenti è quello di stimolare il legislatore italiano a darsi strumenti più efficaci per assicurare che chi è chiamato a rappresentare i cittadini sia in regola con la legislazione del nostro Paese e che gli elettori siano informati sui rappresentati che vanno ad eleggere”.
Nell’attesa che Palazzo San Macuto elabori le proprie analisi la giustizia fa il suo corso. E’ evidente che qualcosa non funziona e il responso dell’antimafia rischia di diventare una barzelletta. Esiste, quindi, un vulnus normativo che bisogna colmare. Si tratta, spiega Bindi, “dell’ennesima dimostrazione che gli strumenti di cui disponiamo per tutelare l’elettorato attivo e passivo nel nostro Paese sono insufficienti. Non solo per i tempi lasciati a disposizione delle commissioni elettorali per valutare la regolarità della situazione giuridica dei candidati, in base alle leggi, e in particolare alla legge Severino. Ma forse esiste anche una contraddizione all’interno della stessa legge per la distinzione tra incandidabilità ed ineleggibilità”.
“E’ evidente – conclude la presidente dell’antimafia – che chi è candidabile ma non eleggibile comunque droga il risultato delle elezioni, perché il consenso raccolto, anche nel caso in cui la persona di fatto ineleggibile non venisse eletta, interviene ad alterare il risultato”.