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Il confronto

Autori di reato e disturbi psichici: a Palermo la sfida per un approccio condiviso tra Sanità e Magistratura

venerdì 24 Ottobre 2025

Rafforzare le competenze cliniche, giuridiche e operative dei professionisti nella gestione dei pazienti psichiatrici autori di reato, promuovendo un approccio interdisciplinare e la definizione di linee guida condivise dopo la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari e l’istituzione delle Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza (REMS).

Questi sono stati gli obiettivi di due giornate, dense di riflessione, confronto e domande, organizzate dall’Asp di Palermo, in collaborazione con l’Ordine dei Medici, che ha riunito magistrati, psichiatri e studiosi per affrontare un tema tanto complesso quanto urgente: la gestione dei soggetti psichiatrici autori di reato dopo la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari.

Una necessità formativa nata dal profondo mutamento del Sistema, che con la creazione delle REMS ha affidato ai Dipartimenti di Salute Mentale la presa in carico di persone che, pur affette da disturbi psichici, hanno commesso reati e sono state giudicate socialmente pericolose.

La fotografia

“La situazione è ormai insostenibile. I Dipartimenti di Salute Mentale gestiscono un carico enorme, con casi sempre più complessi e risorse sempre più ridotte. Il tema dei pazienti autori di reato è delicatissimo: parliamo di persone con una doppia fragilità, quella psichica e quella sociale. Non si può pensare di affrontarli solo con strumenti sanitari o giudiziari. Serve un approccio integrato, in cui medici, magistrati e istituzioni condividano responsabilità e percorsi“, ha detto Maurizio Montalbano, direttore del Dipartimento di Salute Mentale dell’Asp.

“La chiusura degli OPG è stata una riforma giusta, ma ha lasciato scoperte molte criticità. Oggi i Dipartimenti affrontano situazioni complesse senza strumenti strutturali e organizzativi adeguati. È necessario garantire sicurezza agli operatori e cure realmente efficaci ai pazienti – ha proseguito –. Questo confronto serve proprio a ricostruire una visione: la salute mentale deve tornare a essere una responsabilità collettiva, in cui cura, riabilitazione e tutela della comunità si muovono insieme. Dietro ogni caso ci sono persone, e ogni persona porta con sé una storia che merita ascolto, rispetto e dignità“.

Il direttore ha voluto precisare che nonostante le difficoltà, la salute mentale non ha liste d’attesa: Entro trenta giorni assicuriamo la presa in carico di tutti, grazie all’impegno degli operatori che lavorano con meno del 50% del personale previsto. Quando si parla di liste d’attesa, ci si riferisce alle REMS, che non dipendono da noi ma da un sistema più ampio, anche giudiziario, che va ripensato in un’ottica condivisa regionale e nazionale”.

La sopravvivenza

A portare la prospettiva gestionale e sanitaria è stato Antonino Levita, direttore sanitario dell’Asp di Palermo, che ha evidenziato che: “Le cose da fare sono tante e partono dal personale. Stiamo portando avanti campagne di arruolamento per potenziare i nostri servizi, completare le piante organiche e investire su figure chiave come psicologi, infermieri e terapisti della riabilitazione. Serve anche migliorare la ricettività delle strutture e ampliare l’offerta delle REMS, per alleggerire il carico sugli operatori e sui pazienti delle comunità cittadine”.

Levita ha poi toccato il tema delle dipendenze, collegato al disagio mentale e alla devianza. “L’incidenza delle dipendenze resta alta, anche se cambiano le sostanze e i contesti. Oggi l’eroina ha lasciato spazio a nuove sostanze chimiche e dipendenze, ma la problematica resta attuale e complessa. Stiamo puntando sulla presa in carico precoce, sulle unità di strada e sui progetti di prevenzione per ridurre la cronicizzazione e l’impatto sulle famiglie”.

Tra controllo e cura

Il dibattito è proseguito approfondendo il nodo centrale del problema: la difficoltà di tenere insieme le esigenze di controllo e quelle di cura.

Il professor Roberto Catanesi, ordinario di psicopatologia forense all’Università di Bari, ha evidenziato che: “Il nodo principale oggi è riuscire a conciliare le esigenze di controllo sociale, insite nelle misure di sicurezza, con quelle di cura, in un sistema che affida completamente ai sanitari la gestione degli autori di reato affetti da infermità mentale. Il problema non è controllare, ma disporre di un ventaglio di interventi proporzionato alla complessità delle persone che trattiamo. È un errore concettuale pensare che la cura, da sola, possa garantire anche il controllo del comportamento. Curare e prevenire un reato sono due dimensioni diverse: a volte coincidono, ma non sempre. Per questo servono strutture di alta intensità assistenziale, dedicate ai casi in cui questo equilibrio è difficile da raggiungere”.

Sul piano della responsabilità, il peso ricade oggi interamente sul personale sanitario, a cui viene richiesto di gestire situazioni spesso proibitive, esponendo sé stessi e la collettività a gravi rischi. Parliamo di persone che, dopo valutazione specialistica e decisione del magistrato, sono considerate socialmente pericolose. Non possiamo dimenticare che queste non sono solo misure sanitarie, ma anche giudiziarie   ha ribadito -. La Corte Costituzionale lo ha appena ribadito, evidenziando l’anomalia di un sistema che trasferisce al solo ambito sanitario oneri e costi di una responsabilità condivisa. È necessario che giustizia e sanità tornino a cooperare, partecipando insieme agli stessi obiettivi”.

Il sistema incompiuto

Un’analisi di respiro storico e giuridico è arrivata da Giacomo Montalbano, già presidente della Quinta Sezione Penale della Corte d’Appello di Palermo, che ha ripercorso l’evoluzione normativa delle misure di sicurezza.

“Le misure di sicurezza nascono con una logica di contenimento del malato di mente, ma con l’istituzione delle REMS il legislatore ha voluto introdurre una prospettiva nuova, centrata sulla cura, sull’assistenza e sulla riabilitazione. Il passaggio dal ‘pazzo da custodire’ al ‘malato da curare’ rappresenta un’evoluzione importante, almeno nelle intenzioni. Tuttavia, i risultati non sono all’altezza delle premesse. La Corte Costituzionale ha evidenziato la necessità di una legge dello Stato che disciplini non solo quando, ma anche come debbano essere applicate le misure di sicurezza, poiché incidono sulla libertà personale del soggetto. Allo stesso modo, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) ha condannato l’Italia per aver mantenuto in carcere persone con infermità mentale, in attesa di un posto in REMS, configurando una violazione del diritto alla libertà sancito dall’articolo 5 della Convenzione Europea”.

Il numero delle strutture è del tutto insufficiente e la gestione, oggi affidata ai Dipartimenti di Salute Mentale, resta gravata da un’impostazione che trasferisce alla sanità responsabilità e carichi che dovrebbero essere condivisi con il sistema giudiziario. Dopo la legge 81/2014, che ha chiuso gli OPG, serve un nuovo intervento normativo che metta ordine, risorse e garanzie in un sistema ancora incompiuto”, ha rimarcato.

Uno protocollo condiviso

Il giudice Andrea Innocenti, oggi Gip del Tribunale di Venezia, ha insistito sulla necessità di costruire protocolli d’intesa tra magistratura e servizi di salute mentale.

“Lavorando sul tema delle misure di sicurezza per imputati o indagati con disturbi psichiatrici, abbiamo constatato che la carenza di risorse e di posti nelle REMS o nelle CTA genera situazioni paradossali. Non possiamo limitarci ad aspettare nuovi posti letto – ha puntualizzato -. Necessario diventa creare un protocollo d’intesa tra magistratura, servizi di salute mentale e forze dell’ordine. Questo strumento permetterebbe di evitare errori nelle perizie e nelle consulenze, garantendo un migliore coordinamento con i CSM nella gestione dei soggetti sottoposti a misure di sicurezza”.

“Il protocollo dovrebbe prevedere alcuni punti chiave – ha aggiunto -. Innanzitutto, la creazione di una sorta di ‘Pronto soccorso giudiziario’, in collaborazione con l’ASP, per consentire una valutazione psichiatrica tempestiva prima della convalida dell’arresto, così da prevenire detenzioni illegittime. Poi, la definizione di quesiti e metodiche uniformi per le perizie, che includano un dialogo costante con i centri di salute mentale. Fondamentale anche il rafforzamento del dialogo interistituzionale, con referenti nominati per ciascun ente – DSM, magistratura di cognizione e di sorveglianza, uffici per l’esecuzione penale esterna – per assicurare uno scambio costante di informazioni. Infine, la formazione specifica per tutti gli operatori coinvolti: psichiatri, medici, magistrati e personale delle comunità. Le misure di sicurezza non sono una materia ordinaria: richiedono competenze, coordinamento e una visione comune”.

Scelta dei periti e formazione

Proprio a partire dal tema della formazione e del dialogo interistituzionale, il presidente dell’Ordine dei Medici di Palermo, Toti Amato, ha richiamato l’attenzione sulla necessità di rafforzare la collaborazione tra diritto e salute mentale attraverso strumenti concreti di verifica e valorizzazione delle competenze.

“Le proposte e i modelli organizzativi non mancano, ma ciò che spesso manca è la verifica della loro efficacia. Serve un sistema di controllo continuo, perché le riforme abbiano reale impatto. Con la legge Lorenzin del 2018, agli Ordini dei Medici è stato affidato il compito della formazione continua dei professionisti e, in quest’ottica, abbiamo siglato con il Tribunale di Palermo e l’Ordine degli Avvocati un protocollo d’intesa che prevede un elenco aggiornato dei consulenti tecnici d’ufficio (CTU), in cui siano certificate non solo la formazione ma anche l’esperienza maturata. È fondamentale, soprattutto in ambiti sensibili come la psichiatria forense, garantire che i periti abbiano competenze specifiche e comprovate. Invito quindi gli psichiatri a presentare la propria attività formativa e professionale, perché la qualità delle consulenze passa dalla competenza e dall’esperienza di chi le svolge”.

“L’Ordine dei Medici di Palermo è al momento l’unico in Italia ad aver sottoscritto un protocollo di questo tipo, a conferma dell’impegno costante nel promuovere qualità, etica e responsabilità nella professione medica”, ha concluso Amato.

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