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Borsellino, Di Matteo: “Mai parlato con Scarantino durante pause interrogatori”

lunedì 3 Febbraio 2020
Strage via D'Amelio
FOTO: AFP- AGI

Sono certo che né io, né altri miei colleghi parlammo con Scarantino nelle pause degli interrogatori di fatti relativi alle indagini“. Lo ha detto Nino Di Matteo, ex pm del pool che indagò sulla strage di via D’Amelio, deponendo al processo, in corso a Caltanissetta, sul depistaggio delle indagini sull’attentato.

Nino Di Matteo

Imputati di calunnia aggravata i poliziotti Fabrizio Mattei, Mario Bo e Michele Ribaudo,  i quali facevano parte della squadra di investigatori che condusse l’inchiesta.

Secondo l’accusa, avrebbero costruito una verità di comodo sulla strage imbeccando falsi pentiti come Vincenzo Scarantino, costringendoli a mentire e ad accusare persone che non avrebbero avuto un ruolo nell’attentato. Per il depistaggio sono indagati a Messina anche due pm dell’epoca: Anna Palma e Carmelo Petralia. Anche loro, come i poliziotti, rispondono di calunnia aggravata.

Di Matteo, ora consigliere del Csm, rispondendo alle domande dell’aggiunto Gabriele Paci ha ricordato i giorni in cui per la prima volta, nel 1994, sentì Scarantino a Genova.

Non ci furono pause durante quegli interrogatori – ha spiegato – e lo ricordo bene perché a un certo punto era necessario per Scarantino rifocillarsi e io non gli consentii di uscire chiedendo di portare dei panini nella stanza in cui eravamo. Ci mettemmo in due angoli diversi e mangiammo e mentre eravamo lì pensavo: sto mangiando nella stessa stanza con chi ha detto di aver partecipato a un fatto per cui io ho pianto amaramente“.

Seppi delle note della Boccassini e delle sue osservazioni critiche sulla gestione del pentito Scarantino solo tra il 2008 e il 2010.  – continua Di Matteo – Con la collega Boccassini non ho mai avuto la possibilità e la fortuna di parlare non solo delle stragi ma di indagini in generale. Per me era ed è un un magistrato da stimare moltissimo, ma con la quale la conoscenza si limitava a incontri al bar“.

Io indagai sull’agenda rossa di Borsellino fin dal primo momento. Come pure indagai sul Sisde, per questo mi indigno quando si parla di inerzia investigativa“. Ha sottolineato l’ex pm.

La sua testimonianza ha proseguito raccontando che “Noi su Vincenzo Scarantino abbiamo dato un giudizio di attendibilità assai limitata. Perché nel cosiddetto processo Borsellino ter nemmeno lo abbiamo messo in lista testi e nel processo bis sulla strage nei confronti degli imputati tirati in ballo solo da lui abbiamo chiesto l’assoluzione. Valutazione che fu condivisa dai giudici del primo grado. Poi furono condannati in appello ma lì non so cosa accadde. – e conclude sull’indagato – Cioè noi dicemmo che da un certo punto in poi Scarantino aveva cominciato a inquinare il quadro probatorio”, ha aggiunto “rivendicando” comunque le condanne definitive, oltre 30, ottenute in due processi sulla strage costata la vita al giudice Borsellino e alla scorta”.

All’epoca delle indagini sulle stragi i collaboratori di giustizia vedevano nell’ufficio del pubblico ministero il luogo a cui rivolgersi per risolvere problemi spesso logistici.  -ha deposto l’ex Pm – In quel periodo mi è capitato che mi chiamassero Mutolo e Cancemi ma nessuno si è mai sognato di dirmi cose inerenti alle dichiarazioni. L’attività di preparazione dei collaboratori di giustizia significava solo dare indicazioni ad esempio sul contegno da tenere in aula, sull’evitare polemiche coi legali, questo era preparare ed era una prassi seguita da tutti“.

È chiaro che l’agenda rossa di Paolo Borsellino è sparita e non può essere sparita per mano di Graviano.  – sottolinea Di Matteo – Il mio impegno era finalizzato a capire per mano di chi fosse sparita. Abbiamo fatto il possibile per accertarlo, anche scontrandoci con reticenze bestiali sulla presenza di esponenti delle istituzioni nel luogo dell’attentato. Da qui sarei voluto ripartire per tante altre cose“.

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