“Non sussiste alcuna prova che consente di collegare la trattativa Stato-mafia con la deliberazione della strage di Via D’Amelio”. Lo scrive la corte d’assise d’appello di Caltanissetta nelle motivazioni della sentenza del cosiddetto processo Borsellino quater. Secondo i giudici, dunque, la decisione di eliminare il magistrato, ucciso con la scorta nel 1992, non avrebbe alcun rapporto con la trattativa che pezzi dello Stato avrebbero avviato con i clan dopo l’attentato al giudice Giovanni Falcone. La tesi che Borsellino sarebbe stato ucciso perché avrebbe scoperto l’esistenza della trattativa è stata sostenuta dalla corte d’assise di Palermo che ha celebrato il processo sul dialogo tra pezzi delle istituzioni e clan. Il delitto, secondo la corte nissena, invece, rientra nella strategia stagista della mafia dettata da finalità di vendetta.
Secondo i giudici il piano della mafia di eliminare il magistrato dunque risaliva agli anni ’80 quando le indagini condotte da Borsellino sull’omicidio del capitano Basile inchiodarono alle loro responsabilità mafiosi di prima grandezza come Pino Leggio e Giacomo Riina. I progetti delle cosche però non vennero portati a termine, fino a quando, con la conferma in Cassazione delle condanne del maxiprocesso, Cosa nostra decise di compiere il suo piano. La sentenza del maxi dunque “diede vita ai propositi vendicativi” dei boss nei confronti di nemici storici di Cosa nostra come Falcone e Borsellino.