Nino Di Matteo a “Non è l’arena”, su La7, ha ricostruito una vicenda quale quella della nomina del capo del Dap che getta tanta luce e ancora più ombre su una pagina recente della storia della Repubblica. Il magistrato ha voluto intervenire in diretta da Massimo Giletti, dove si parlava di carceri e di gestione dell’emergenza durante il coronavirus, per svelare che “fui chiamato a dirigere il Dap, poi il ministro cambiò idea. I boss non mi volevano”.
Il ministro cui si fa riferimento è il grillino Alfonso Bonafede”
“Avevo deciso di accettare la nomina”, ma poi venne fermato tutto, ha aggiunto Di Matteo. Parole pesantissime le sue e che lasciano poco spazio al fraintendimento perché Nino Di Matteo alla fine non è di certo andato a dirigere il Dap.
“La confessione di Di Matteo è gravissima e significa che questo governo è attento ai bisogni dei mafiosi più che delle vittime della mafia”. A dirlo Anastasio Carrà (commissario della Lega Salvini Premier per la provincia di Catania) che è anche luogotenente dei Carabinieri e proprio per il suo doppio ruolo nelle istituzioni si dice “scioccato da quanto accaduto”.
“Le parole di Di Matteo – sottolinea – non sono un sentito dire, ma la testimonianza di un uomo che si è battuto nella lotta contro la mafia e conosce bene codici e modi di fare della criminalità e questo le rende degne di rispetto. Adesso non va lasciato da solo. Il ministro Bonafede dovrebbe non solo spiegare ma anche dimettersi, perché alla mafia favori non se ne fanno nemmeno per sbaglio. Io sono atterrito dalla pochezza dei nostri rappresentati nelle istituzioni, come cittadino, come sindaco e come carabiniere siciliano sento sulla mia pelle il sangue di coloro che hanno combattuto contro la mafia e queste vicende lasciano molto più che amarezza in bocca, provocano un sincero sdegno”.