Non solo asintomatici o paucisintomatici. I giovani, tra i quali si sta registrando un numero crescente di infezioni da SarsCoV2 nelle ultime settimane, mostrano sempre più spesso anche sintomi seri della malattia.
“Ciò è la conseguenza dell’aumento significativo di contagi in questa fascia d’età che, conseguentemente, determina anche una maggiore rilevazione percentuale di casi sintomatici gravi o di media gravità. E’ questo ciò che sta accadendo attualmente negli ospedali”, afferma l’infettivologo Massimo Andreoni, mentre aumenta la preoccupazione per il diffondersi anche in Italia della variante Delta, più contagiosa, del virus.
Quanto invece alla mutazione Beta, che preoccupa in Francia, per ora non è segnalata nel nostro Paese. “Anche i giovani, sin dall’inizio della pandemia – spiega Andreoni, direttore di Infettivologia al Policlinico Tor Vergata di Roma – sono stati sempre colpiti dal virus, sia pure con numeri più ridotti, ed hanno presentato casi anche gravi, tanto che sono stati registrati dei decessi pure in questa fascia d’età. Quindi – avverte l’esperto – è sbagliato pensare che ragazzi ed adolescenti sviluppino sempre delle forme lievi o paucisintomatiche, ovvero con pochi sintomi, della malattia Covid-19″.
Quello che sta accadendo ora, per effetto anche delle varianti e del fatto che i più giovani sono ancora vaccinati in numero limitato, “è che stanno aumentando i contagi in questa categoria e, di conseguenza, anche i casi sintomatici in rapporto alla crescita esponenziale delle infezioni in tale fascia di popolazione”. Così, spiega Andreoni, “vediamo sempre più spesso giovani con Covid che presentano sintomi come, ad esempio, la perdita dell’olfatto e del gusto. Si tratta di sintomi considerati moderati-lievi ma, in realtà, sono fortemente debilitanti. Sappiamo infatti che possono permanere per periodi anche lunghi o addirittura evolvere in una condizione cronica”. Ma tra i giovani, avverte, “si iniziano a vedere anche casi di polmoniti di media severità”.
La malattia da Covid, precisa inoltre, “è sempre la stessa, ma con manifestazioni che possono essere diverse da caso a caso. Al momento, non c’è una variante che si connota per disturbi particolarmente diversi rispetto alle altre”. Insomma, sottolinea, “nessuno si può sentire esente dal rischio di malattia grave e questo vale pure per i bambini ed i giovani. Purtroppo quello che ci si deve aspettare è che i numeri continuino a crescere e penso che bisogna ora mettere in atto delle misure diverse e stringere sul green pass”.
Il consiglio, afferma, “resta quello di vaccinarsi, mantenere le misure di contenimento a partire dalle mascherine ed evitare i viaggi”. Un quadro destinato probabilmente a peggiorare proprio per effetto delle varianti. Secondo l’ultima indagine rapida condotta dall’Istituto superiore di sanità, pubblicata lo scorso 2 luglio, la Delta (prima denominata ‘indiana’ B.1.167.2) aveva una prevalenza pari al 22,7%, con un range tra lo 0 e il 70,6%. La prevalenza della variante Alfa (B.1.1.7, prima definita ‘inglese’) era invece del 57,8%. La variante Gamma (P.1, precedentemente ‘brasiliana’) aveva una prevalenza pari a 11,8% (con un range tra 0 e 37,5%).
Quanto alla Beta (prima denominata ‘sudafricana’ B.1.351) – che sta registrando una crescita in Francia e che preoccupa perché sembrerebbe essere più resistente ai vaccini – l’ultima indagine dell‘Iss non l’ha rilevata in alcuna Regione. Secondo una successiva stima, però, la Delta è ormai presente nel 32,6% delle sequenze depositate dal nostro Paese nella banca internazionale Gisaid, che raccoglie le mappe genetiche del virus SarsCoV2 da tutto il mondo, mentre la variante Alfa è scesa al 37,9%.