“Non mi risulta che qualcuno abbia mai detto a Vincenzo Scarantino di aggiustare dichiarazioni rese o che qualcuno gli abbia mai suggerito qualcosa durante gli interrogatori”. Lo ha dichiarato il luogotenente della Dia Giandomenico Fenu, nel corso dell’udienza del processo sul depistaggio delle indagini sulla strage di Via D’Amelio riferendosi al falso pentito Vincenzo Scarantino il quale, secondo l’accusa, fu indotto a dichiarare una falsa verità sulla strage.
“Personalmente ero presente all’interrogatorio che fu fatto a Scarantino nel giugno del ’94 a Caltanissetta. Negli interrogatori che venivano effettuati con la dottoressa Ilda Boccassini – continua il teste – venivano indicate sul verbale tutte le persone presenti e se vi erano pause veniva dato atto sul verbale. Per quel che mi risulta nessuno ha mai detto a Scarantino di aggiustare dichiarazioni rese. Assolutamente mai. Quando a Vincenzo Scarantino fu mostrato un album di foto per il riconoscimento nessuno gli suggerì nulla. Sarebbe stato messo a verbale. Scarantino non riconobbe alcune persone tra cui i fratelli Graviano e tale Calascibetta. Non ricordo se questo fatto destò sorpresa anche perché sono passati tantissimi anni”.
L’avvocato Giuseppe Panepinto, legale dell’imputato Mario Bo, ha poi chiesto se la dottoressa Boccassini o qualcun altro al termine di questo interrogatorio avessero manifestato perplessità. “Non ricordo” è stata la risposta del teste.
“Il rapporto tra l’ex magistrato Ilda Boccassini e il funzionario di polizia Arnaldo La Barbera era un rapporto di stima”. “Lavoravo alle dirette dipendenze della dottoressa Ilda Boccassini – ha raccontato il luogotenente rispondendo alle domande dell’avvocato Giuseppe Panepinto – lei era la mente e io il braccio operativo. Quando nel ’92 arrivammo a Caltanissetta era uno scenario di guerra. Il Palazzo di Giustizia era presidiato da auto blindate. La dottoressa Boccassini aveva un rapporto molto stretto con le forze di polizia. Era una di quelle persone che o si detestano o si amavano. Quelli che ci lavoravano a stretto contatto, come me, la apprezzavano tantissimo. La Barbera o qualsiasi altro funzionario di polizia non avrebbe mai assunto iniziative senza concordarle con il pm“.
“Spessissimo il dottore La Barbera veniva a Caltanissetta in tarda serata. Ho ricordo – ha proseguito il luogotenente – di una circostanza particolare ma che poi seppi che si risolse in equivoco. Mentre la dottoressa era in ferie, ricevo una telefonata da un collaboratore di La Barbera, che mi dice: ‘avremmo bisogno che lei ci dica chi è il difensore di Vincenzo Scarantino ma di questa cosa lei non deve fare parola con la Boccassini’. Io dissi che questa richiesta era assolutamente irricevibile. E dissi anche che chiudendo la telefonata l’avrei detto subito alla Boccassini. Poi seppi che la dottoressa si rivolse al dottore La Barbera e mi disse che si era trattato di un equivoco. La Boccassini non ebbe mai dubbi sull’operato del dottore La Barbera anche perché non ha mai lavorato con persone che non stimasse“.
Il processo vede imputati tre poliziotti – Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo – ex appartenenti del gruppo Falcone-Borsellino, che indagò sull’attentato in cui perse la vita il giudice Paolo Borsellino. Sono accusati di calunnia aggravata dall’aver favorito Cosa nostra. I tre, secondo l’accusa avrebbero manipolato il falso collaboratore di giustizia, Vincenzo Scarantino per indurlo a dichiarare ai magistrati una falsa verità sulla strage di via d’Amelio dando così vita al depistaggio delle indagini.