Due Palermo che sembrano lontanissime, ma che per don Giuseppe Vitrano, don Pino per tutti, sono lo stesso corpo malato.
Lo incontriamo in via Archirafi la sede della missione fondata da Fratel Biagio Conte, tra il ritmo di tutti i giorni e il viavai di poveri, donne, ragazzi e famiglie che vengono a chiedere aiuto. Ha gli occhi stanchi ma lo sguardo fermo.
“La città rischia di soffocare nella paura”
Don Pino, cosa sta succedendo a Palermo? Sembra che ogni weekend ci sia una nuova aggressione, una nuova rissa.
“Sta succedendo che la città si è rotta. Non parlo solo della movida o dello Zen. Parlo di un tessuto che si è lacerato negli anni. Quando un tredicenne del Capo viene pestato da altri ragazzini, quando in piazza Sant’Anna volano le coltellate, quando a via Maqueda la gente ha paura di uscire la sera… vuol dire che qualcosa di profondo non funziona più. E non è colpa solo dei ragazzi.”
La manifestazione allo Zen, con i vescovi in prima fila, è arrivata proprio in questo momento.
“Sì, ed è stato un segnale importante. L’Arcivescovo Lorefice e il Vescovo di Monreale Isacchi non sono andati lì per fare passerella. Sono andati perché la Chiesa non può guardare da lontano. Palermo non si salva a pezzi: o si salva tutta, centro e periferia insieme, o non si salva. Lo Zen e le altre periferie di Palermo soffrono, ma anche il centro storico sta soffrendo. Sono ferite diverse dello stesso corpo.”
Legalità: non basta la multa
Si parla molto di legalità. Ma cosa vuol dire davvero in una città come questa?
“Guardi, la legalità non è il vigile che ti fa la multa. O meglio, anche quello, ma non solo. La legalità è scegliere ogni giorno il bene comune. È il padre che non compra al figlio lo scooter rubato. È il commerciante che non paga il pizzo. È il giovane che dice no allo spaccio anche se a casa mancano i soldi per la spesa.”
Si ferma, beve un sorso d’acqua.
“Ma come fai a chiedere legalità a un ragazzo di una delle periferie di Palermo che vive senza una prospettiva, che è disoccupato, come fai a parlare di regole a una famiglia che vive in una casa senza finestre? La legalità, per essere vera, deve camminare insieme alla giustizia sociale. Altrimenti è solo retorica.”
Cita spesso fratel Biagio Conte, figura storica della carità palermitana, morto nel 2023.
“Fratel Biagio diceva sempre: non rispondere al male con il male, costruisci il bene. Ecco, questo significa legalità a Palermo. Costruire. Scuole aperte di pomeriggio. Campi di calcio illuminati la sera. Centri di ascolto nei quartieri. Non solo pattuglie e telecamere.”
“Le periferie non sono un fallimento, sono una frontiera”
Le disuguaglianze tra i quartieri restano enormi. Da una parte il turismo, i locali, la movida. Dall’altra lo Zen, Brancaccio, il CEP…
«Esatto, e questo pesa come un macigno. C’è una Palermo che rifiorisce, via Maqueda piena di turisti, Ballarò che diventa “trendy”, la Vucciria che la notte si anima e poi c’è un’altra Palermo che non compare nemmeno nelle cartoline. Ma attenzione: le periferie non sono un fallimento, sono una frontiera. È lì che si misura la verità di una città. La politica, a suo tempo, ha commesso un errore enorme: ha concentrato le case popolari tutte in un unico luogo, emarginando intere famiglie e creando così una frattura profonda nella società. Non ci voleva molto per capire che bisognava invece mescolare, integrare, includere. Invece si è scelto di separare, e oggi vediamo le conseguenze di quelle scelte sbagliate: disuguaglianze che continuano a crescere e quartieri che si sentono abbandonati.»
Sicurezza: “Non è questione di posti di blocco”
Molti palermitani chiedono più sicurezza. C’è chi dice: servono più controlli, più polizia.
“Io rispetto le forze dell’ordine, fanno un lavoro difficilissimo. Ma la sicurezza vera non nasce dai posti di blocco. Nasce dalla dignità. Un ragazzo è sicuro quando ha un sogno, un posto dove andare, una famiglia che non si sente sola. Lo Stato non è solo la divisa: è anche l’autobus che arriva, la scuola che funziona, il consultorio che ti ascolta, l’assistente sociale che ti segue e potrei citare tante altre cose”.
“Quando un quattordicenne gira con un coltello o con una pistola, la domanda non è: dove l’ha comprato? La domanda è: dove erano gli adulti? Dove eravamo noi? Genitori, insegnanti, preti, educatori. Tutti siamo responsabili. La violenza della movida e quella delle periferie di Palermo hanno la stessa radice: il vuoto educativo. Abbiamo smesso di accompagnare i ragazzi. Li abbiamo lasciati soli con uno smartphone e una birra.”
“Anche la movida è una periferia”
Lei parla di periferie, ma la violenza oggi colpisce anche il centro, i luoghi del divertimento.
“Certo. E questo ci dice qualcosa di importante: le periferie oggi non sono solo geografiche. Anche in via Maqueda, tra i locali e le luci, ci sono solitudini enormi. Ragazzi che bevono per dimenticare, che si picchiano perché non sanno più comunicare. Anche quello è degrado, anche quella è povertà. Povertà educativa, povertà di relazioni.”
Cita Papa Leone, che ha parlato spesso delle “periferie”.
Papa Leone invita a guardare le periferie come “il luogo della missione evangelica”. Quanto è attuale questo messaggio?
È più che mai attuale. Le periferie, oggi, non sono solo quelle geografiche: anche nel cuore della città, tra i locali e le piazze della movida, ci sono nuove forme di povertà e solitudini enormi. Papa Leone ci chiede di spingerci oltre i pregiudizi e di non voltare lo sguardo. Palermo può rinascere solo se sceglie di ascoltare le sue ferite. E da quelle ferite, se curate con amore, può rinascere una bellezza nuova, quella della fraternità e della corresponsabilità.
“Dobbiamo tornare a educare”
Cosa si può fare, concretamente?
“Serve una rivoluzione educativa. Patti educativi tra scuola, istituzioni, parrocchie, associazioni. Servizio civile obbligatorio per i giovani. Lavoro vero, non precariato infinito. E serve che noi adulti torniamo a testimoniare. I ragazzi ci guardano: se viviamo di furbizie, di scorciatoie, di omertà, loro impareranno quello.”
Fuori, il sole tramonta su Palermo. La città si prepara a un’altra notte. Don Pino torna ai suoi fratelli accolti. “Io non mollo”, dice. “E neanche voi dovete mollare.”





