Donna forte, cattolica e determinata, ma anche madre amorevole ed affettuosa.
Nonostante sia nata nel 1916, Felicia Bartolotta Impastato ha dimostrato, nel corso della sua dura e complicata vita, di essere una persona molto più avanti rispetto ai tempi e dalla mente aperta e brillante. Forse è anche, e soprattutto, per questo, che oggi, a 21 anni dalla sua scomparsa, il suo ricordo resta più vivido che mai.

Nata, cresciuta e morta a Cinisi, Felicia ha proseguito con determinazione le lotte condotte dal figlio Peppino, assassinato dalla mafia nel 1978 dagli uomini di Gaetano Badalamenti, con un solo obiettivo: ottenere verità e giustizia. La missione di Felicia, però, non si è spenta quel 7 dicembre del 2004 e ancora oggi non si è esaurita.
“Era una donna scomoda. Forse più scomoda di Peppino. Peppino era un rivoluzionario, un militante antimafia. Lei no. Lei era una donna del paese, una donna tranquilla, serena, cattolica, rispetto a Peppino, e che chiedeva giustizia per il figlio“. Così, senza troppi giri di parole, la ricorda ancora il figlio Giovanni.
Cinisi, Palermo, la Sicilia, ma anche l’Italia, come ogni anno, commemorano in questi giorni Felicia Impastato e le sue battaglie. In prima linea c’è sempre Casa Memoria. Le celebrazioni sono iniziate già lo scorso mercoledì 3 dicembre e sono proseguite con dibattiti, proiezioni di film e spettacoli teatrali che hanno coinvolto soprattutto le scolaresche. Oggi il momento clou. A partire dalle ore 17:00, a Casa Felicia, si svolgerà l’incontro, coordinato da Luisa Impastato, dal titolo “Felicia e le madri che resistono”, dove interverranno il sociologo Alessandro Dino, il figlio di Lia Pipitone Alessio Cordaro, Umberto Santino, presidente del Centro Impastato e che racconterà Emanuela Sansone e la madre Giuseppe di Sano, la madre di Paolo La Rosa Loredana Zerbo, e la figlia di Vincenzina Manfano Dolci, Liber Dolci. Sarà mostrato anche il cortometraggio-intervista, a cusa di Sicilia Sud Globale “Madres Buscadora”. Alle ore 19:00 le performance di Alessia Di Ranno ed Enzo Rao e di Fanny Evola e Ottavio Altavilla, con le letture di Antonella Galati, Andrea Prezzabile, Marco Macaluso, Crsitina Vitale. A partire dalle ore 19:30, infine, l’esposizione contadina a cura di FuoriMercato, con l’esposizione a Casa Felicia di una mostra di pittura e foto a cura dell’Ass.ne Asadin. Uno spazio espositivo in solidarietà al popolo palestinese.

Ma chi era veramente Felicia? “Una madre e una donna straordinaria – ha raccontato Impastato – che ha avuto il coraggio di sfidare il marito. Non lo ho mai lasciato, lo ha rispettato fino alla morte, però quando è stata costretta a fare una scelta non si è schierata dalla sua parte, ma da quella del figlio, della giustizia e della legalità. Quello era il nostro tempo, era difficile. Lei era vincolata dal giuramento dell’altare. Era un contesto dominato dalla cultura mafiosa e lei si è mossa in questo senso, perché era forte, di una cultura cattolica e mediterranea. Questo è un episodio che la rende forte“.
Una madre amorevole, capace di ricoprire i propri figli di affetto e di proteggerli. Non solo la vita privata. Felicia, con la compostezza, ma anche con la sua perseveranza, è riuscita a farsi conoscere da tutta Italia dopo la morte di Peppino. Un’attenzione giunta per lo spirito battagliere e anticonformista di un figlio, che non si era mai posto troppi problemi nel sbeffeggiare la mafia, nonostante anche gli stretti legami di parentela. Cosa nostra andava ripudiata, in tutte le sue forte. E di questo Peppino ne era fermamente convinto. Un impegno e un sacrificio che certamente non potevano svanire con la sua morte.

“Dopo la morte di Peppino, dopo i funerali, questa donna – ha ricordato Giovanni Impastato – è riuscita a rompere gli equilibri della cultura mafiosa perché aprì le sue porte. Di solito, in quei tempi, si usava che quando moriva qualcuno si chiudevano le porte e per un po’ non si usciva di casa, tranne per bisogni impellenti. Lei, invece, spalancò subito le sue porte. Aprì le persiane con il suo sguardo curioso e attento e disse: ‘Vi voglio raccontare la storia di mio figlio’. Da lì nasce Casa Memoria“.
Ma non solo. Tra i tanti ricordi spicca sicuramente il celebre episodio che vide Felicia protagonista di un momento indelebile: “Lei fu chiamata a deporre nell’ultima udienza del processo contro gli assassini di Peppino. Dopo il rito del giuramento, alzò la mano e puntò il dito contro Gaetano Badalamenti, che appariva in uno schermo enorme, perché gli Stati Uniti non gli avevano concesso l’autorizzazione di venire in Italia e lo processarono in diretta. Vide il volto dell’assassino del figlio, gli punto il dito e disse: ‘Sei stato tu ad uccidere mio figlio’. Lì appariva come una donna serena, tranquilla, in pace con sé stessa per tutto quello che aveva per il figlio. Questo è un episodio che nessuno ha dimenticato. Neanche i giornalisti che erano presenti o i giudici. E’ stato un momento forte, perché abbiamo notato che in quelle frasi non c’erano sentimenti di odio, di vendetta o di rancore. Nello stesso tempo aveva avuto anche la forza e il coraggio di avere rispetto per quel criminale: non lo ha offeso, non ha sbraitato, lo ha guardato guardato negli occhi, lui ha abbasso lo sguardo e questa è stata la sua sconfitta“.
Una donna capace di affrontare a testa alta e con grande dignità qualsiasi tipo di dolore: “Ne ha subite tante. Le è morto un figlio piccolo, giovanissimo, aveva 3 anni, per una sospetta meningite. Io sono nato l’anno dopo. Poi, a distanza di anni, ha dovuto sopportare anche la morte di Peppino. Lascio immaginare le forze che ha avuto questa donna. Può essere considerata una cosa diversa, ma le hanno ucciso anche il marito. Ha saputo reagire e ha trasformato il dolore in impegno. Da un po’ di anni a questa parte, quando ricordiamo mia madre Felicia, provo sempre un’emozione ancora più forte“.
Ma oggi, cosa penserebbe Felicia della Sicilia e del modo attuale di agire della mafia? “Sarebbe amareggiata. Oggi la mafia si è insediata all’interno del sistema di potere economico e politico. La mafia c’è, ma ha cambiato totalmente strategia. Non appare più come ai tempi di Peppino o ai tempi di mia madre. E’ una mafia sommersa. Una mafia molto più pericolosa. E lei sarebbe molto amareggiata per questo, perché quando lei lottava contro la mafia lo Stato le sbatteva le porte in faccia, lo ha fatto per molto tempo. ‘Signora si rassegni, perché suo figlio è un terrorista’. La famosa tesi dell’attentato terroristico e tutto il resto. Lei – ha concluso il figlio Giovanni – ha sempre reagito. Ha continuato sempre a crederci. Sicuramente continuerebbe a lottare anche in questo momento, anche se oggi è più complicato, per i motivi detti: la mafia non è molto riconoscibile e non è molto individuabile, però c’è ed è molto radicata all’interno delle istituzioni“.




