Chi non muore si rivede. All’Ars si torna a parlare del riordino degli Istituti pubblici di assistenza e beneficenza. Un tema non inedito tra le mura dell’Assemblea regionale e che negli anni tutte le legislazioni che si sono susseguite hanno affrontato almeno una volta nella loro vita.
In Commissione Affari Istituzioni, presieduta da Ignazio Abbate, è iniziato oggi l’esame del disegno di legge. La base di partenza è il testo governativo, presentato dal presidente della Regione Renato Schifani, su proposta dell’assessore per la Famiglia, le politiche sociali e il lavoro Nuccia Albano.

Una legge, quella vigente, ormai “arrugginita” e risalente al 1986. In circa 40 anni dall’ultima modifica non sono però mancate le proposte di interventi. Basti pensare alla legge nazionale del 2001, che ha disposto una nuova disciplina per le Ipab, trasformate e riordinate in aziende pubbliche di servizi alla persona o in persone giuridiche di diritto privato, ma che in Sicilia non ha mai avuto attuazione. Ad oggi si parla di oltre 130 Enti dislocati nell’Isola, tutti con caratteristiche ed esigenze gestionali, finanziarie e strategiche differenti, e con all’attivo circa 400 dipendenti totali, secondo le stime dell’ultima rilevazione effettuata dal Dipartimento della Famiglia e delle Politiche sociali.
Mettere mano agli Ipab risulta così necessario. In prima battuta per frenare i numerosi contenzioni promossi dal personale e dai fornitori nei confronti della Regione, che comportano procedure esecutive per le quali è evidente il tentativo di coinvolgere direttamente e in solido anche la Regione per una sua presunta responsabilità quale organo di vigilanza, generando, per quanto contestabile, un debito fuori bilancio a carico della Regione. Altro obiettivo è quello di contenere la dispersione del patrimonio immobiliare delle Ipab, minacciato dalle procedure esecutive in corso su istanza dei creditori, senza alcun controllo da parte della Regione.
Il ddl andrebbe così a intervenire a gamba tesa sull’articolo 34 della legge regionale 9 maggio 1986, n. 22, aggiungendo due apposite disposizioni: uno riguardante la liquidazione e l’estinzione delle Istituzioni pubbliche di assistenza (art. 34 bis) e beneficenza, l’altro il personale (art.34 ter).
Il primo interviene sugli Enti che da più di due anni registrano un disavanzo di amministrazione e che non sono nelle condizioni di raggiungere le finalità prefissate. Si tratta di circa 63 Ipab, che allo stato attuale presentano le più importanti e gravose problematiche legate ai contenziosi, alla situazione debitoria, al personale ed alla gestione del patrimonio. Nello specifico, sarebbero così poste in liquidazione: 13 Istituti nella provincia di Catania, 8 nelle province di Siracusa e di Trapani, 7 nelle province di Messina e di Palermo, 6 nelle province di Agrigento e Caltanissetta, 5 in quella di Enna e 3 in quella di Ragusa. L’assessore regionale della Famiglia, delle Politiche Sociali e del Lavoro sarà incaricato di nominare un commissario liquidatore, per uno o più Ipab, tra professionisti iscritti all’albo degli avvocati e dei dottori commercialisti, che avrà il compito di regolarizzare la posizione contributiva e previdenziale del personale ed eventuali crediti maturati. Al fine di assicurare un sostegno economico ai predetti dipendenti, l’attivo della liquidazione verrà destinato al Comune dove insiste la struttura per essere destinato a finalità socio-assistenziali. I compensi per i commissari liquidatori e le spese per la relativa procedura graveranno sui proventi della liquidazione.
Come emerge, il capitolo più delicato riguarda i dipendenti. Sulle circa 163 unità si focalizza la seconda disposizione, l’art.34 ter, che disciplina le modalità di impiego del personale assunto a tempo indeterminato presso le Istituzioni. Una volta superato il primo ostacolo, derivante delle liquidazioni, i dipendenti confluiranno in un unico elenco ad esaurimento, istituito presso l’Assessorato regionale della Famiglia, delle Politiche sociali e del Lavoro. Un bacino ampio che racchiude lavorati con una età media di 60 anni e con basse qualifiche funzionali. La provincia con il maggior numero di unità è quella di Catania, 42, seguita da Palermo (32), Trapani (30), Agrigento (19) e Messina (14). Circa o meno di una decina sono invece quelli che ricadono nella provincia di Caltanissetta (10), Ragusa (9) ed Enna (7). A questo elenco potranno attingere Enti locali, distretti socio assistenziali, Asp o enti e associazioni che ricevono finanziamenti dalla Regione per la realizzazione di progetti in ambito socio-sanitario.

“La riforma riguarda esclusivamente gli Ipab in deficit e che da due anni non esercitano attività. Si tratta di circa un terzo degli Ipab siciliani. Per martedì prossimo abbiamo già convocato l’assessore e il direttore generale per la discussione. Approfondiremo sul futuro di 163 dipendenti che finiranno in un unico elenco e saranno messi a disposizione per la mobilità. Ciò non significa che ci sarà un passaggio automatico. Dobbiamo evitare che si crei un ulteriore bacino di persone disoccupate che devono essere stabilizzati“. Ha spiegato il presidente della I Commissione Ignazio Abbate.
Se il primo nodo da sciogliere, quello dei dipendenti, è abbastanza complesso, non è da meno quello riguardante la copertura finanziaria. La nuova proposta di legge non comporterebbe ulteriori oneri a carico del bilancio regionale e troverebbe copertura attraverso la liquidazione delle Ipab e con parte delle risorse annue previste per il personale degli Istituti. Ai progetti in capo ai Comuni, invece, verrebbero destinati un terzo dello stanziamento annuo per le spese delle unità degli Enti, che nel 2025 corrisponde a 3,5 milioni e quindi sarebbe pari a circa un milione. “Non possiamo basarci solo sulla vendita degli immobili, non c’è una certezza. Bisogna trovare una copertura finanziaria. – ha spiegato il deputato della DC – previsto circa un milione di euro, un terzo dei trasferimenti che quest’anno ammontano a circa 3 milioni, ma corrisponderebbero a 6.500 euro a dipendente, una somma di 500 euro al mese. Una quota irrisoria. Approfondiremo dunque queste aspetti più delicati. Siamo comunque fiduciosi di poter terminare l’iter in Commissione nel più breve tempo possibile ed entro il 6 giugno spedirlo in Commissione Bilancio“.
Dopo circa 40 anni dall’ultimo intervento, sarà finalmente arrivata la volta buona?