Il virus non è scomparso, ha solo smesso di fare notizia. I dati aggiornati del Centro Operativo Aids dell’Istituto Superiore di Sanità, mostrano che le nuove diagnosi di infezione da HIV in Italia sono tornate a salire, avvicinandosi ai livelli pre-pandemici: 2.349 nuovi casi, in aumento rispetto all’anno precedente. In parallelo, sono stati registrati 532 casi di Aids conclamata, segno di diagnosi ancora troppo tardive.
Se la media nazionale è di 4 nuovi casi ogni 100mila abitanti, in alcune regioni si va ben oltre. La Sicilia è tra i territori con l’incidenza più alta d’Italia, superando persino la Lombardia, che ha più del doppio degli abitanti. Un dato allarmante, che mette in luce una dinamica preoccupante: la sottovalutazione del rischio e il ritardo nella diagnosi, soprattutto tra giovani adulti eterosessuali.
“L’HIV non è più un’emergenza, ma è ancora una minaccia silenziosa, spesso ignorata. In Sicilia, l’incidenza è preoccupante. Serve più prevenzione, più test e un uso più ampio delle nuove terapie che oggi, per fortuna, sono sempre più efficaci, pratiche e meno invasive”, afferma Antonio Cascio, professore e direttore del reparto di Malattie Infettive del Policlinico di Palermo.
Chi si infetta oggi
L’infezione colpisce prevalentemente i maschi nella fascia 30-39 anni e le donne tra i 25 e i 29. I rapporti sessuali restano la via di trasmissione principale (86,3% dei casi), con una distribuzione che smonta definitivamente il vecchio stereotipo delle “categorie a rischio”:
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38,6% riguarda uomini che fanno sesso con altri uomini (MsM);
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26,6% maschi eterosessuali;
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21,1% donne eterosessuali.
Solo il 12,3% delle persone ha scoperto l’HIV con controlli di routine. La maggioranza arriva al test tardi, spesso già con sintomi evidenti o a seguito di una patologia correlata. Risultato: oltre metà degli uomini e due terzi degli eterosessuali hanno una carica virale già avanzata al momento della diagnosi, con livelli molto bassi di linfociti CD4.
La Sicilia, tra stigma e sottovalutazione
In Sicilia, i numeri parlano chiaro. L’incidenza del contagio è cresciuta, anche per effetto di un ritardo strutturale nella cultura della prevenzione. Secondo la Lega Italiana per la Lotta contro l’Aids, tra le donne il 52% non ha mai fatto un test e quasi il 60% non ha usato il profilattico nell’ultimo rapporto sessuale.
Un dato che riflette un problema più profondo: l’HIV viene ancora percepito come “un problema di altri”. Un virus che riguarda uomini gay, sex workers, persone trans, tossicodipendenti. Una percezione pericolosa e sbagliata, che si scontra con la realtà: il virus oggi si diffonde trasversalmente e spesso nella completa inconsapevolezza di chi lo trasmette.
La svolta tra terapie long acting e PrEP
Mentre i numeri crescono, la medicina risponde con strumenti sempre più efficaci.
“Oggi le terapie contro l’HIV sono molto più efficaci e meno tossiche rispetto al passato – spiega Cascio –. La vera rivoluzione, però, è nella forma: una puntura ogni due mesi al posto della pillola quotidiana”.
Si tratta dei cosiddetti farmaci long acting, ovvero a lunga durata d’azione. Tra questi, il più promettente è cabotegravir, un inibitore dell’integrasi che blocca il ciclo di replicazione del virus impedendogli di integrare il proprio materiale genetico nel DNA delle cellule umane. Il farmaco viene iniettato per via intramuscolare, di solito nel gluteo, in combinazione con rilpivirina a lunga durata, in due somministrazioni alternate ogni otto settimane.
“Parliamo di una terapia iniettiva che cambia completamente la vita dei pazienti – sottolinea l’infettivologo –. Non c’è più il problema di ricordarsi la pillola ogni giorno, né quello di dover portare con sé i farmaci, evitando così anche situazioni di disagio sociale o stigma”.
I vantaggi sono molteplici:
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copertura costante del farmaco nel sangue;
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migliore aderenza terapeutica;
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riduzione delle fluttuazioni nei livelli plasmaticimi;
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nore rischio di sviluppo di resistenze in caso di dimenticanze.
Cabotegravir anche per la prevenzione
Oltre alla terapia, cabotegravir è stato approvato anche per la PrEP (profilassi pre-esposizione). Fino a oggi, questa strategia preventiva si è basata su farmaci orali da assumere quotidianamente (come tenofovir/emtricitabina), ma il futuro è iniettabile.
“La PrEP iniettabile rappresenta un passo avanti enorme – evidenzia Cascio -. Ci sono persone che, per vari motivi, non riescono a prendere farmaci per bocca o hanno difficoltà nell’assorbirli correttamente. L’iniezione elimina questi problemi e garantisce una copertura efficace e continuativa”.
Somministrato una volta ogni due mesi, cabotegravir si è dimostrato più efficace dei farmaci orali tradizionali nel prevenire l’infezione da HIV, soprattutto tra persone esposte a rischio elevato ma con scarsa aderenza ai regimi giornalieri.
Prevenzione e diagnosi precoce
Se la terapia è in continua evoluzione, la vera sfida resta intercettare l’infezione in tempo.
“Oggi il principio U=U (Undetectable = Untransmittable) non è uno slogan: è il risultato di decenni di ricerca. Una persona HIV positiva che segue correttamente la terapia, e ha una carica virale non rilevabile, non trasmette il virus. Questo ci permette di spezzare la catena dei contagi e di proteggere tutta la comunità – ribadisce il professore -.Ma senza test, senza informazione e senza una cultura diffusa della sessualità responsabile, nessun farmaco può bastare. La medicina da sola non può vincere questa battaglia”.
“Oggi l’HIV non è più una condanna, ma può diventare una malattia cronica controllabile. Il virus si può fermare, ma non da solo”, conclude.