Solo il 20% dell’Assemblea Regionale Siciliana è composto da donne. Questo è il dato che emerge da una prima analisi dei deputati regionali a Sala d’Ercole. I freddi numeri raccontano una verità indiscutibile, soprattutto in un periodo nel quale il tema della rappresentanza di genere ha scalato la classifica dei trend politici in Sicilia. Lo ha fatto sia nell’ambito del disegno di legge sugli enti locali, poi tramontato all’Ars, sia nel testo per tornare all’elezione diretta delle Province. Bozza di delibera nella quale la commissione Affari Istituzionali ha inserito una serie di riferimenti normativi che incorporano il limite del 40% di rappresentanza di genere nelle Giunte di Città Metropolitane e Liberi Consorzi. Per fare un esempio pratico, una lista da 10 assessori a prevalenza maschile dovrà comprendere almeno 4 donne.
La divisione degli assessori nei principali comuni siciliani
Le regole introdotte al ddl Province puntano a migliorare la presenza delle donne nei palazzi della politica. Anche se, va detto, il dato che emerge da un’analisi statistica è che, almeno in Sicilia, le donne non votano le donne. Lo raccontano i dati delle scorse elezioni regionali del 2022. In Sicilia votano 4.606.564 elettori. Di questi, la maggioranza è composta da donne (2.369.395), mentre gli uomini sono 2.237.169.
Ma nonostante questo dato numerico, nelle 5294 sezioni della Sicilia sono riuscite a farsi eleggere soltanto 15 deputate regionali. Ben poca cosa rispetto ai 55 uomini presenti a Sala d’Ercole. Guardando al dato di alcune delle principali città dell’Isola, il risultato è ancora più incontrovertibile. Facendo degli esempi, a Palermo (141.798 contro 137.708), Catania (68.419 contro 64.783), Messina (52.728 contro 51.360), Trapani (11.602 contro 11.413), Modica (12.565 contro 12.397) e Bagheria (12.641 contro 12.264) hanno votato in maggioranza le donne. Ma questo non è bastato ad eleggere più candidate all’Ars.
Il focus sui comuni siciliani
Non va di certo meglio sul fronte dei comuni dell’Isola. In Sicilia ci sono soltanto 24 donne sindaco sui 391 comuni dell’Isola. Meno del 10%. Di queste 2 sono in provincia di Agrigento: Margherita La Rocca Ruvolo (Montevago) e Sabrina Lattuca (Realmonte). Due anche a Caltanissetta: Giuseppina Catania (Sutera) e Maria Paola Immordino (Villalba). Un solo sindaco donna in provincia di Catania, ovvero Rita Margherita Ferro (Aci Catena).
Tre prime cittadine a Enna: Maria Gaetana Greco (Agira), Maria Anna Raccuglia (Aidone) e Francesca Draià (Valguarnera Caropepe). E’ Messina la provincia più rosa con sei sindaci donne: Bernadette Grasso (Caprileone), Maria Veronica Armeli (Castell’Umberto), Katia Geraldi (Cesarò), Giusi La Galia (Gioiosa Marea), Clara Rametta (Malfa) e Carmelita Marchello (San Piero Patti). Cinque sindaci donne in provincia di Palermo: Angela De Luca (Altofonte), Elizabeth Schmidt (Bolognetta), Tiziana Cascio (Collesano), Antonina Comparetto (Prizzi), Maria Terranova (Termini Imerese). Maria Monisteri Caschetto (Modica) e Maria Rita Schembri (Comiso) sono gli unici primi cittadini della provincia di Ragusa, mentre Daniela Toscano (Erice) è l’unica rappresentante donna della provincia di Trapani.
Pochi assessori donne nei capoluoghi siciliani
Ma anche negli ambiti in cui la politica è chiamata a decidere non va di certo meglio. Con riguardo ai nove capoluoghi di provincia, ci sono soltanto 14 assessori donne su 95 posti complessivi. Ma questa è un’analisi che verrà raccontata in un prossimo articolo..
Poche donne in politica: perché?
La domanda è una: perché ci sono poche donne in politica? A fornire le risposte a questo quesito non può essere di certo un giornalista, al quale tocca il compito di raccontare fatti e numeri. A quesiti complessi servono risposte complesse, non ricostruibili nelle poche righe di un articolo. Partendo dalle statistiche però è possibile evidenziare alcune cose. In passato ci sono state meno candidate donne che uomini. Una tendenza parzialmente invertita soltanto dall’entrata in vigore della regola sulla presenza di genere nelle liste, la quale impone che il sesso minoritario debba essere rappresentato almeno al 40%.
In pratica, su 10 candidati, almeno 4 devono essere donne o uomini. Ma è raro vedere gruppi di aspiranti politici tendenti ad una maggioranza femminile. Un problema che ne richiama un altro, ovvero la scarsa presenza di donne nelle posizioni di vertice nei partiti. Alcune compagini regionali hanno creato “sezioni rosa” in cui far confluire le nuove aspiranti a ruoli nell’amministrazione attiva. Ma fare numero senza una presenza sociale sul territorio porta a poco. La quantità non può prescindere dalla qualità, al di là dell’essere uomo o donna. E a dimostrarlo sono proprio quelle donne che, con dedizione e capacità tecnica, si sono fatte strada all’interno dei palazzi della politica.
C’è poi il tema dell’esperienza e della fiducia nel candidato. Traducendo un vecchio detto popolare siciliano, “fatti la nomina e vai a dormire”. Non è un caso che diversi parlamentari o consiglieri comunali abbiano ricoperto questo ruolo più volte nei vari decenni. Ci sono politici che arrivano a quattro o a cinque legislature consecutive. E molto spesso la politica diventa “affare di famiglia”, con figli che succedono ai padri all’interno delle liste.
La campagna elettorale, molto spesso, è una vera guerra di numeri e di nervi. E un politico d’esperienza, negli anni, ha costruito una squadra e delle strategie per prevalere sul nuovo che avanza. Il problema è stato lenito soltanto nelle elezioni dei Consigli Comunali. A livello amministrativo infatti è subentrato il cosiddetto “voto di trascinamento”. Con l’introduzione della doppia preferenza, la quale permette di scegliere un candidato uomo e una candidata donna, è stato possibile far confluire più voti sui volti femminili. Cosa che non è accaduta, infatti, a livello regionale, dove non c’è la doppia preferenza. Ma rispetto a tutto ciò, sorge un altro quesito: di fronte ad un quadro del genere, ha senso imporre una presenza femminile all’interno delle liste e dei luoghi della politica?