Sono stati arrestati Paolo Arata, imprenditore ed ex deputato di Forza Italia, e il figlio Francesco. Sono accusati di corruzione, autoriciclaggio e intestazione fittizia di beni.
Sarebbero soci occulti dell’imprenditore trapanese dell’eolico Vito Nicastri, ritenuto dai magistrati tra i finanziatori della latitanza del boss Matteo Messina Denaro.
L’inchiesta è quella che lo scorso 18 aprile aveva portato in cella Vito Nicastri, imprenditore di Alcamo (Tp) soprannominato il “signore del vento” per avere accumulato una fortuna grazie all’eolico e alle energie pulite.
L’arresto di Arata è stato disposto dal gip di Palermo Guglielmo Nicastro su richiesta della Dda guidata da Francesco Lo Voi. Gli Arata sono indagati per un giro di mazzette alla Regione siciliana che coinvolge anche Nicastri, tornato in cella già ad aprile. Oltre che nei confronti dei due Arata il giudice ha disposto l’arresto per Nicastri, la cui la misura è stata notificata in carcere in quanto già detenuto, e per il figlio Manlio, indagati pure loro per corruzione, auto riciclaggio e intestazione fittizia. Ai domiciliari è finito invece l’ex funzionario regionale dell’Assessorato all’Energia Alberto Tinnirello, accusato di corruzione.
Nicastri, che era ai domiciliari con l’accusa di concorso in associazione mafiosa dal 2018, è considerato fedelissimo del boss Matteo Messina Denaro ed è al centro di una inchiesta su un giro di mazzette che coinvolge diversi funzionari della Regione siciliana contattati per sbloccare procedimenti amministrativi legati alle energie rinnovabili. Nella stessa inchiesta è indagato il sottosegretario Armando Siri.
Sequestrate otto società
Nell’ambito delle indagini che oggi hanno portato all’arresto, per corruzione, autoriciclaggio e intestazione fittizia di beni, di Paolo Arata, del figlio Francesco, dell’imprenditore trapanese Vito Nicastri e del figlio Manlio, la Procura di Palermo ha disposto il sequestro di otto società che operano nel campo delle energie rinnovabili, settore in cui hanno investito gli indagati.
A Nicastri, ritenuto dagli inquirenti tra i finanziatori della latitanza del boss Matteo Messina Denaro, tanto che la Procura ne ha recentemente chiesto la condanna a 12 anni per concorso in associazione mafiosa, il gip non ha dato l’aggravante dell’avere favorito Cosa nostra che, invece, gli era stata contestata dai pm. Nella misura cautelare però il gip lancia l’allarme “sull’elevato rischio di infiltrazioni di Cosa nostra” negli affari degli Arata e dei Nicastri.