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Settimo Rapporto "Itinerari Previdenziali"

La mappa del sistema previdenziale italiano: il (magro) bilancio pensionistico della Sicilia 

martedì 7 Novembre 2023

Il “Settimo Rapporto sulla Regionalizzazione del Sistema Previdenziale Italiano”  condotto dal Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali di Alberto Brambilla ha analizzato le entrate contributive e fiscali che sostengono il welfare italiano, suddividendoli per Regioni.

IlSicilia.it ha esaminato i dati della Sicilia per comprendere come si colloca in questo contesto alla ricerca di un difficile equilibrio dei conti.

Il principio fondamentale del sistema pensionistico italiano è semplice ed essenziale. I contributi versati oggi dai lavoratori sostengono le pensioni dei pensionati attuali, e in futuro, altri lavoratori faranno lo stesso per noi. Tuttavia, l’equilibrio di questo sistema è essenziale per il corretto funzionamento delle casse dell’INPS e degli enti previdenziali, ed è strettamente legato al rapporto tra lavoratori e pensionati. Le sfide riguardano anche il fatto che non tutti i cittadini possono garantire un impiego per almeno 40 anni.

Uno scenario delineato dai dati del confronto tra le diverse macroaree condotto dal Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali di Alberto Brambilla e presentato oggi, martedì 7 novembre, al CNEL e che evidenzia in realtà pesanti squilibri, soprattutto a sfavore delle Regioni meridionali. 

Solo 9 delle 20 Regioni italiane presentano entrate contributive e uscite per prestazioni vicine a quel rapporto del 75% che può dirsi rappresentativo di un sistema vicino all’equilibrio: bene il Centro Italia trainato dal Lazio e il Nord, con la sola eccezione di Piemonte e Liguria; pesanti i disavanzi al Sud, che richiederebbe più investimenti e meno assistenza.

In Italia, la questione del welfare e delle politiche economiche è stata affrontata spesso come se il paese fosse omogeneo, con le stesse esigenze e opportunità in tutte le regioni. 

La regionalizzazione è essenziale perché il Paese consente di individuare ed analizzare questi squilibri significativi, includendo anche le entrate tributarie e fornendo uno spaccato della distribuzione dei redditi in tutto il Paese

 

I dati della Sicilia 

La Sicilia è una delle regioni meridionali con tassi di copertura previdenziale inferiori alla media nazionale, registrando un tasso del 61,27% e un saldo previdenziale negativo di circa 5,627 milioni di euro, secondo l’analisi del Centro Studi per le regioni. Le entrate totali ammontano a quasi 9 milioni di euro, mentre le uscite superano i 14,5 milioni di euro.

 

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Le cause di queste disuguaglianze

Per capire le ragioni di queste disuguaglianze della nostra Regione rispetto le altre basta esaminare e confrontare con le altre, tre voci fondamentali.

Prima di tutto, le pensioni integrate al minimo, che rappresentano 2,5 milioni di casi con una spesa di 6,4 miliardi di euro. Queste pensioni integrano i contributi versati dai lavoratori per un minimo di 15-20 anni, ma non raggiungono il livello minimo di 563,74 euro al mese (nel 2021). In Sicilia, queste pensioni sono diffuse, con una ogni 17 abitanti e una spesa totale di 2,3 miliardi di euro.

In secondo luogo, gli assegni sociali sono 816.701 in Italia, con una spesa di quasi 5 miliardi di euro. Questi assegni vengono erogati a chi non ha versato contributi per almeno 15-20 anni e ha requisiti specifici. In Sicilia, gli assegni sociali sono diffusi, con un assegno ogni 37 abitanti e una spesa significativa di 2,7 miliardi di euro.

Infine, le pensioni di invalidità previdenziale, con 974.813 casi e una spesa di 12,5 miliardi di euro. Queste pensioni vengono concesse quando c’è una riduzione del 2/3 della capacità lavorativa e almeno 5 anni di versamenti contributivi. In Sicilia, queste pensioni sono diffuse, con una ogni 55 abitanti.

È interessante notare che il Nord e il Centro potrebbero aver risentito di modifiche strutturali della popolazione e del suo invecchiamento. Nel Nord, l’uscita dal lavoro dei baby boomer ha avuto un impatto maggiore, mentre la crisi industriale ha colpito diverse zone, tra cui Piemonte e Liguria.

 

I DATI

 

La Bilancia tra contributi e spese pensionistiche

Nel 2021, il bilancio pensionistico/previdenziale del paese ha mostrato un disavanzo di 48,68 miliardi di euro, in miglioramento rispetto al 2014. Questo disavanzo non include i trasferimenti dallo Stato per prestazioni assistenziali o contribuzioni figurative dovute ad agevolazioni. 

Le entrate totali sono ammontate a 200,3 miliardi di euro, con un miglioramento del 12,23%, mentre le uscite sono state pari a 248,99 miliardi di euro, in crescita del 6,6% rispetto al 2014.

Le Regioni con tassi di copertura diversi: gli squilibri della contribuzione 

Guardando alla ripartizione per macroaree, il Nord rappresenta oltre il 58% delle entrate e il 53% delle uscite, mentre il Sud contribuisce solo per il 21% ma spende oltre il 26%. Il Centro ha entrate contributive e uscite per prestazioni simili, intorno al 21%.

Un indicatore cruciale per valutare l’equilibrio del sistema è il tasso di copertura, che misura quanto i contributi versati riescano a coprire il costo delle prestazioni erogate. Secondo il Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, ci sarebbe un equilibrio tra entrate e uscite se tutte le regioni raggiungessero un valore pari al 75%, contribuendo almeno al 75% delle uscite per prestazioni. Nel 2021, il tasso di copertura a livello nazionale è risultato essere dell’80,45%, in miglioramento rispetto alla rilevazione precedente. 

 

Il tasso di copertura del 75% è raggiunto solo in 9 Regioni dell’Italia. Queste Regioni virtuose includono il Trentino-Alto Adige (l’unica completamente autosufficiente, con un tasso del 103%), Lombardia (99%), Veneto (93%), Lazio (90%), Emilia-Romagna (87%), Friuli -Venezia Giulia (78%), Valle d’Aosta, Toscana (76%), e Marche (75%). 

Tuttavia, ci sono ancora gravi squilibri regionali. In particolare, tutte le regioni del Sud segnano livelli in crescita piuttosto bassi con una media del 62,25%, con la Calabria “maglia nera” con un modesto 49,98%; poco meglio ma comunque sotto la media del Mezzogiorno anche il Molise, Puglia e Basilicata (circa 60%).

 

Le proposte e i possibili interventi

Per ristabilire l’equilibrio del sistema pensionistico, è fondamentale affrontare queste disuguaglianze regionali. Ciò implica interventi mirati sul lavoro a livello regionale, investimenti nelle infrastrutture strategiche (come trasporti ed energia, ad esempio) e un controllo sistematico sull’evasione contributiva. Questo vuol dire intervenire sulle politiche regionali del lavoro considerato che il tasso di occupazione tra i 20 e i 64 anni al Nord è del 75%, contro il 52% del Mezzogiorno, come rilevato dal Centro Studi nel report.

Per affrontare queste disuguaglianze, il Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali propone interventi mirati per consentire a tutte le regioni di raggiungere una maggiore autosufficienza contributiva, con il 25% rimanente affidato a un fondo di solidarietà nazionale. Questi interventi includono l’efficientamento delle infrastrutture e delle politiche attive per il lavoro.

In particolare, è necessario correggere la frequenza elevata di pensioni di invalidità in alcune regioni, tra cui la Sicilia. Inoltre, è fondamentale evitare di ripetere errori del passato, come la decontribuzione al Sud, che ha portato a un’occupazione di sussistenza e lavoro sommerso. È necessario affrontare il problema delle politiche assistenziali che hanno rallentato la crescita di alcune regioni e hanno pesato sul debito pubblico.

Alberto Brambilla

Come sottolineato anche dal Prof. Alberto Brambilla, Presidente del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, nel corso dell’evento di presentazione, “i risultati di bilancio fin qui evidenziati impongono infatti a politica e parti sociali di prendere coscienza di una situazione ormai troppo duratura per non essere analizzata con chiarezza,  e senza alcun intento persecutorio o ideologico, al solo scopo di cercare risposte e soluzioni a un problema evidente, quello del gap tra Nord e Sud, evitando il ripetersi di errori del passato

Questi dati evidenziano la necessità di un approccio più mirato alle esigenze specifiche delle diverse regioni italiane per garantire una maggiore equità e autosufficienza nel sistema previdenziale.

In conclusione, il sistema pensionistico italiano deve affrontare questi squilibri attraverso un approccio equo a livello regionale per poter raggiungere negli anni l’equilibrio necessario per il benessere dei cittadini italiani e garantire un futuro sostenibile e duraturo al Paese.

 Nota metodologica del rapporto :  Il Rapporto sulla regionalizzazione del bilancio previdenziale italiano, giunto alla settima edizione, si pone l’obiettivo di fornire la dimensione finanziaria delle entrate contributive e fiscali che finanziano il nostro welfare nelle sue tre principali componenti (pensioni, assistenza sociale e sanità pubblica) e le relative uscite per le prestazioni. Un’aggregazione di dati analizzati non solo a livello nazionale, ma scomposti per singola regione.

L’analisi è relativa alle gestioni private INPS (lavoratori dipendenti, artigiani, commercianti, imprenditori agricoli e parasubordinati) per il periodo compreso tra il 1980 e il 2010; a partire dal 2011, la gestione ricomprende anche i dati relativi a IPOST e dal 2013 quelli di ENPALS confluiti in INPS. Dal 2001, poi, è iniziata la regionalizzazione delle gestioni pubbliche gestite da INPDAP fino al 2011 e successivamente confluite in INPS, con una gestione contabile autonoma e separata. Completano il quadro degli Enti previdenziali di primo pilastro le Casse privatizzate dei liberi professionisti.

FONTE DATI:Settimo Rapporto – “La Regionalizzazione del Sistema Previdenziale italiano. Entrate contributive e fiscali, spesa pubblica per welfare e tassi di copertura dal 1980 al 2021”

SLIDE RIASSUNTIVE DEL RAPPORTO: Slide convegno di presentazione del rapporto.pdf

 

NORD, CENTRO, SUD: CHI E QUANTO PAGA LE TASSE?

 

Un’ulteriore analisi all’interno del Settimo Rapporto sulla “Regionalizzazione del Bilancio Previdenziale italiano prodotto dal Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali ha riguardato i dati ricavabili dalle dichiarazioni dei redditi ai fini IRPEF prodotti nel 2021 e dichiarati nel 2022 e che ulteriormente messo in evidenza le notevoli disparità economiche tra le diverse regioni italiane, con un divario significativo tra Nord, Centro e Sud. 

I dati

Il dato totale dei redditi prodotti nel 2021 e dichiarati nel 2022 ai fini IRPEF è ammontato a 894,162 miliardi, per un gettito IRPEF generato di 175,17 miliardi (157 per l’IRPEF ordinaria; 12,83 per l’addizionale regionale e 5,35 per l’addizionale comunale), in crescita rispetto ai 164,36 miliardi dell’anno precedente

I dichiaranti sono 41,497 milioni ma i versanti, vale a dire coloro che pagano almeno 1 euro di IRPEF, sono 31,366 milioni: ciò significa che a ogni contribuente corrispondono 1,427 abitanti.

Nel 2021, l’economia ha mostrato segni di ripresa dopo la crisi pandemica del 2020, con un aumento del gettito fiscale di 10,8 miliardi di euro (+6,57%). Tuttavia, il Nord ha registrato un aumento del 7,18% nel gettito, mentre il Centro (+ 5,97%) e il Sud (+5,54%) hanno segnato aumenti inferiori.

 

 

La distribuzione geografica dei versamenti IRPEF rivela che il Nord contribuisce al 57,43% del totale, il Centro al 21,83%, e il Sud al 20,74%. Questa situazione denota uno squilibrio persistente, nonostante gli interventi effettuati nel tempo. Dalla distribuzione geografica dei versamenti IRPEF risulta che il Nord contribuisce per 100,6 miliardi, il Centro con 38,2 miliardi, mentre il Sud porta in dote 36,3 miliardi.

L’analisi delle singole regioni conferma ulteriormente queste differenze, con la Lombardia, per esempio, che versa più IRPEF (40 miliardi) dell’intero Mezzogiorno, nonostante abbia una popolazione inferiore.

 

 

Nel dettaglio nella ripartizione regionale dei contribuenti per fasce di reddito, emerge che:

  • i dichiaranti redditi fino a 15.000 euro rappresentano al Nord il 35,95% del totale e il 27% degli abitanti, al Centro rispettivamente il 41,9% e il 29,8% degli abitanti e al Sud il 54,1% e il 33,7%;
  • i contribuenti con redditi da 15.000 a 29.000 euro sono per il 38,75% del totale e il 29,1% degli abitanti residenti al Nord; il 34,7% e 24,8% rispettivamente per il Centro con il Sud fermo a 29,8% e 18,6%;
  • per i redditi tra 29.000 e 55.000 euro troviamo il Nord con il 19,34% di contribuenti e 14,52% di cittadini, il Centro con il 17,8% e 12,7% e il Sud che si stacca ancor più con il 13,1% e l’8,1%;
  • per la fascia con redditi fra 55.000 e 100.000 euro troviamo al Nord il 4,24% di contribuenti, pari al 3,2% della popolazione, al Centro il 4,1% e 2,7% mentre al Sud il 2,3% e 1,4%;
  • infine per i redditi oltre i 100.000 euro l’1,72% e l’1,29% al Nord, l’1,56% e l’1,11% al Centro mentre il Sud segna lo 0,72% e lo 0,45%.

 

 

Un indicatore importante riguarda il rapporto tra contribuenti e popolazione. Al Sud, ogni contribuente corrisponde a 1,61 abitanti, mentre al Centro (1,4 abitanti) e al Nord (1,33 abitanti), questi valori sono inferiori. Le differenze regionali nei redditi pro capite sono significative con l’importo di 6.098 euro al Nord, 5.932 euro al Centro e 4.313 euro al Sud.

Questi dati mettono in luce un Paese con notevoli divisioni regionali, con un Nord sviluppato, un Centro in crescita, guidato dal Lazio, e un Sud che continua a lottare economicamente. La disparità nelle entrate fiscali è particolarmente evidente nelle imposte dirette e indirette come l’IVA. Il Nord contribuisce significativamente di più rispetto al Sud, suggerendo fenomeni di evasione fiscale.

Fonte Dati: Approfondimento – Nord, Centro e Sud: chi paga le tasse (e quanto)

Ulteriori tabelle all’interno del link sezione “Documenti” del report: Allegato 1 – Tabelle regionalizzazione INPS da X1 a X7. Allegato 2 – Tabelle regionalizzazione ex INPDAP da K1 a K7. Allegato 3 – Tabelle riepilogative per le Casse Privatizzate di cui ai decreti 509/1994 e 103/1996

 

 

 

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