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La sindrome di Calimero

mercoledì 19 Aprile 2017

Mi sento brutto, incapace, inadeguato

I primi sintomi si manifestano sin da bambini, nel rapporto con i coetanei, le figure di riferimento principali (genitori, parenti, insegnanti, caregiver), nel rapporto con se stessi e nelle prestazioni psicologiche e cognitive, in generale. Si percepisce la sensazione di non suscitare interesse negli altri, di non avere carisma e magnete, di non avere presa tanto da divenire “popolari” e “ricercati”. Si resta sempre lì, relegati in un cantuccio, in un angolo, nel proprio “narchè”, quel rifugio interiore dove il bambino, prima, e, poi, l’adulto, possono piangere, gridare, tormentarsi, per la gelosia, l’invidia e la delusione, senza, quasi, emettere alcun gemito verbale.

Questi soggetti incassano una serie di rifiuti, la continua sensazione di essere ignorati e altre ferite narcisistiche legate al fatto di non sentirsi considerati, riconosciuti, apprezzati per quello che sono. L’anatroccolo nero o pecora nera ha un grande potenziale, quello di cambiare le cose, di fare la differenza, di camminare in piani più alti e sopra le righe. Se non riesce a spiccare per delle particolari doti, può convincersi di non avere posto nel mondo o in mezzo agli altri.

Le conseguenze possono essere l’insorgere di gravi psicopatologie e formazioni reattive, l’isolamento sociale o la tendenza a voler sembrare qualcun altro (ricorrendo, spesso, a interventi chirurgici invasivi e deformanti) fino a ideazioni suicidarie e omicidiarie. Viviamo in una società competitiva, deflazionata e inflazionata, dove occorrono grandi capacità e creatività per rimanere a galla. E, quando non si è “stronzi” è proprio difficile affiorare e sopravvivere. Vige la legge del più forte.

Siamo diventati così tanti sul pianeta che, spesso, a livello inconsapevole, quando non si tratta di manovre studiate a tavolino, desideriamo che avvenga una sorta di selezione naturale e che sopravvivano i più adatti e più evoluti, a svantaggio dei più deboli.Ma come si diventa Calimeri? A un certo punto della vita, si indossa un cartello, come dice V. Di Spazio, con su scritto: “Sono inadeguato!” e si continua a camminare sempre su quel piano, attraendo e favorendo il muoversi di persone negative e l’accadere di fenomeni destabilizzanti che confermano quell’etichetta che ci si è affibbiata.

Ma come si è entrati in questo vortice di autoesclusione? E, soprattutto, come si può uscirne? Il complesso di inferiorità nasce con noi, a causa del corredo genetico che ereditiamo. Può essere la sindrome di un antenato, come la definirebbe A. A.Schutzenberger, o è la risultante di un feedback o di una serie di punteggiature linguistiche e semantiche avvenute tra noi e le figure genitoriali, i fratelli e, non meno importanti, anzi, il contrario, gli insegnanti. È sufficiente essere narcisisti patologici (ben presto spiegherò la differenza con i narcisisti sani), disempatici, anaffettivi, superficiali, incapaci di ascoltare o di considerare i bisogni di altri (figurarsi dei bambini) per infliggere nei propri figli delle ferite così profonde da lasciare delle cicatrici sempre pronte a bruciare, se non si riesce a elaborare o lasciare andare il trauma, a trasformare in positivo il dolore, liberando l’energia bloccata. Questo tipo di narcisista non considera, minimizza, offende a bruciapelo, disconferma, destabilizza, fa sentire inadeguato chiunque non sia una sua estensione.

Per trasformare gli script acquisiti e obnubilanti, occorrono, a parte tanta acqua e tanto detersivo, cognizioni e apertura mentale e un ben sintonizzato Psicologo o Medico Psicologo, altrimenti, detto Metamedico (visto che, ormai, la Psicologia è stata assorbita dalla Medicina –dato che la scissione del 1879 si è rivelata una gran “cazzata”- a tal punto da creare una disciplina indipendente, anche se indubbiamente ancoracomplementare).

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