Ogni qualvolta, all’estero, si afferma un personaggio politico di successo, nella politica nostrana si scatena la corsa all’identificazione ed all’emulazione. Anche stavolta, con Macron il copione si ripete. Ma la ricerca di analogie, e il tentativo di importazione del modello Macron in Italia deve partire da un assioma: il giovane Presidente francese si afferma quale leader meta-partitico e post-ideologico. Se non si comprende ciò, ogni tentativo di analisi risulta fallimentare.
Non si può prescindere, è stato detto e scritto in tutte le salse, dalla constatazione della crisi dei partiti e delle ideologie del ventesimo secolo che li rappresentavano e da questa crisi si aprono nuovi scenari. Ma la società post-ideologica, non può essere solo, e non deve esserlo la società delle “buone prassi”, o la surroga della classe politica da parte della tecnocrazia. La nuova sfida è quella di ridisegnare i confini della dialettica politica, abbandonando le categorie usurate di destra e sinistra: nel nostro millennio la competizione è tra coloro che auspicano una società “aperta” o “chiusa”, ovvero tra innovatori e conservatori, presenti in maniera ubiquitaria in tutte le formazioni politiche attuali.
Come ben scrive Vilmer Cusenza a proposito del progetto politico di Macron “quello che poteva apparire solo come un bricolage intelligente per assemblare pezzi diversi di programma prendendo il meglio da ciascun partito oggi appare ciò che si potrà fare concretamente nel mercato della politica: ampliare l’offerta ai cittadini, assemblando in un unico contenitore proposte una volta appannaggio o esclusiva di forze politiche distinte e spesso distanti “.
Ma non si tratta di qualunquismo o trasversalismo, si prende semplicemente atto che non ha più senso continuare ad applicare alla nostra realtà, le categorie politiche del ‘900.
E nel campo politico degli “aperti” non può non avere piena cittadinanza l’europeismo, la contrapposizione al populismo, il rifiuto netto degli “egoismi” sociali, economici, etnici. Insomma, un nuovo umanesimo liberale e dallo sguardo lungo.
Se questo è lo scenario, si dovrà innanzitutto comprendere come si trasformeranno le dinamiche politiche in futuro e soprattutto quali saranno i mezzi di organizzazione democratica del consenso. Ovvero in cosa si dovranno trasformare i partiti e con quali modalità. La sfida per la nostra democrazia nasce da questi interrogativi.
Questa è la riflessione che, a mio avviso, la vittoria di Macron ci suggerisce, e che può avere un significato anche al livello del quadro politico locale, dove la dialettica politica non può continuare ad essere tra “vecchio” e “nuovo”, bensì tra “sviluppo” e “conservazione”.