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I dati forniti dal presidente Cartabellotta

Liste d’attesa troppo lunghe, Gimbe: “Quattro milioni di italiani rinunciano alle prestazioni sanitarie”

mercoledì 11 Giugno 2025
Nino Cartabellotta
Sono 4 milioni gli italiani, il 7% della popolazione, che nel 2024 hanno rinunciato alle prestazioni sanitarie a causa dei lunghi tempi di attesa. E’ il principale dato che emerge da un’analisi indipendente sullo status di attuazione della norma, condotta dalla Fondazione Gimbe, con l’obiettivo, spiega il suo presidente Nino Cartabellotta, “di informare in maniera costruttiva il dibattito pubblico e politico e di ridurre le aspettative irrealistiche dei cittadini, sempre più intrappolati nella rete delle liste di attesa. Tracciando un confine netto tra realtà e propaganda”.
La quota di popolazione che dichiara di aver rinunciato alle prestazioni sanitarie per le liste d’attesa troppo lunghe è passata dal 4,2% del 2022 (2,5 milioni di persone) al 4,5% del 2023 (2,7 milioni), fino a schizzare al 6,8% nel 2024 (4 milioni). Anche le difficoltà economiche continuano a pesare: la percentuale di chi rinuncia per questo motivo è aumentata dal 3,2% del 2022 (1,9 milioni di persone) al 4,2% del 2023 (2,5 milioni), fino al 5,3% del 2024 (3,1 milioni).
Se tra il 2022 e il 2023 l’aumento della rinuncia alle prestazioni era dovuto soprattutto a motivazioni economiche – spiega il presidente della Fondazione Gimbe – tra il 2023 e il 2024 l’impennata è stata trainata in larga misura dalle lunghe liste di attesa”. E i dati lo confermano: le rinunce legate ai tempi d’attesa sono cresciute del 7,1% tra il 2022 e il 2023, e del 51% tra il 2023 e il 2024; quelle per ragioni economiche, invece, sono aumentate del 31,2% tra 2022 e 2023 e del 26,1% tra 2023 e 2024.
“Negli ultimi due anni – commenta Cartabellotta – il fenomeno della rinuncia alle prestazioni non solo è cresciuto, ma coinvolge l’intero Paese, incluse le fasce di popolazione che prima della pandemia si trovavano in una posizione di ‘vantaggio relativo’, come i residenti al Nord e le persone con un livello di istruzione più elevato. Il vero problema – osserva – non è più, o almeno non è soltanto, il portafoglio dei cittadini, ma la capacità del Ssn di garantire le prestazioni in tempi compatibili con i bisogni di salute”. 
A un anno dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto legge sulle liste d’attesa, tre dei sei decreti attuativi non sono stati ancora pubblicati. Di questi tre provvedimenti, uno è scaduto da oltre nove mesi e due non hanno una scadenza definita. Lo denuncia la Fondazione Gimbe nella sua analisi indipendente sullo stato di attuazione della norma, il dl 73/2024.
Come già evidenziato in audizione dalla Fondazione – spiega il suo presidente, Nino Cartabellotta – il carattere di urgenza del provvedimento si è rivelato incompatibile con un numero così elevato di decreti attuativi, alcuni tecnicamente complessi, altri politicamente scottanti”. Dei tre provvedimenti non pubblicati, già scaduto risulta essere quello su “Modalità e procedure per l’esercizio dei poteri sostitutivi da parte dell’Organismo di verifica e controllo sull’assistenza sanitaria”. Su questo provvedimento, nota il presidente della Fondazione Gimbe, si è consumato in due mesi un duro scontro istituzionale tra Governo e Regioni. “Al di là delle dichiarazioni pubbliche di ritrovata sintonia istituzionale – commenta Cartabellotta – al 10 giugno non risulta ancora raggiunta l’intesa tra Governo e Regioni sul decreto attuativo”.
Degli due altri decreti, entrambi senza scadenza, il primo, precisa, “riguarda il superamento del tetto di spesa per il personale sanitario ed è verosimilmente in stand-by per la mancata approvazione della ‘nuova metodologia’ Agenas per stimare il fabbisogno di personale. Il secondo, che prevede linee di indirizzo nazionali per un nuovo sistema di disdetta delle prenotazioni e per l’ottimizzazione delle agende Cup – continua Cartabellotta – al 10 giugno 2025 non risulta ancora calendarizzato in Conferenza delle Regioni”.
A un anno dalla pubblicazione, osserva ancora, “il dl Liste di attesa si è impantanato tra le complessità tecnologiche che frenano il decollo della piattaforma nazionale e la prolungata tensione istituzionale tra Governo e Regioni sui poteri sostitutivi. Le liste d’attesa non sono infatti una criticità da risolvere a colpi di decreti: sono il sintomo del grave indebolimento del Ssn, che richiede investimenti consistenti sul personale sanitario, coraggiose riforme organizzative, una completa trasformazione digitale e misure concrete per arginare la domanda inappropriata di prestazioni sanitarie”.
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