Il nuovo monitoraggio del Ministero della Salute sull’erogazione dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) conferma le difficoltà della Sicilia, che nel 2023 non raggiunge la sufficienza in due aree su tre e perde 11 punti rispetto al 2022. La Regione resta quindi inadempiente, insieme ad Abruzzo e Valle d’Aosta, mentre nel Mezzogiorno solo Puglia, Campania e Sardegna ottengono la promozione.
“Quella dei LEA è la pagella ufficiale dei servizi sanitari regionali – ricorda Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione GIMBE – che consente di distinguere le Regioni adempienti da quelle che presentano criticità”.
La “pagella” della Sicilia e il divario Nord-Sud
Il sistema di valutazione si basa su 26 indicatori chiave (parte del più ampio set NSG CORE) distribuiti in tre aree, ovvero prevenzione, assistenza distrettuale e ospedaliera. Per essere adempiente, una Regione deve totalizzare almeno 60 punti in ciascuna area. Nel 2023 la Sicilia non raggiunge la soglia minima in due aree, certificando così una carenza strutturale sia sul territorio che sul fronte ospedaliero.
Complessivamente, solo 13 Regioni risultano adempienti: tra queste, le uniche meridionali sono Puglia, Campania e Sardegna. Entrano tra le promosse proprio Campania e Sardegna, mentre Basilicata e Liguria retrocedono. Restano inadempienti per una sola area Calabria, Molise e Bolzano.
“Il divario Nord-Sud – sottolinea Cartabellotta – rimane molto netto: su 13 Regioni promosse, appena tre appartengono al Mezzogiorno. La Puglia ha raggiunto punteggi paragonabili a quelli di alcune Regioni del Nord, mentre Campania e Sardegna si collocano poco al di sopra della sufficienza”.
Il confronto con l’anno precedente evidenzia un peggioramento in otto Regioni, tra cui la Sicilia. Il calo più forte è quello della Basilicata (-19 punti), ma pesanti perdite si registrano anche in Lombardia (-14), Sicilia (-11) e Lazio (-10). All’opposto, la Calabria segna un balzo in avanti di 41 punti e la Sardegna di 26.
“La riduzione delle performance – spiega Cartabellotta – anche in Regioni storicamente solide come Lombardia e Lazio dimostra che la tenuta del Servizio sanitario nazionale non è più garantita nemmeno dove le risorse sono maggiori. È un campanello d’allarme che non può essere ignorato”.
La richiesta di una revisione
Per GIMBE, il monitoraggio ministeriale rischia di offrire una fotografia parziale. Gli indicatori considerati sono pochi e le soglie di sufficienza troppo basse. “Il set di indicatori NSG CORE – conclude Cartabellotta – più che misurare la qualità dell’assistenza, risponde a logiche di political agreement tra Stato e Regioni. Serve una revisione radicale, con più indicatori e controlli più stringenti, perché la tutela della salute non può dipendere dal luogo di residenza”.
Il quadro che emerge conferma una verità difficile da ignorare. In Sicilia il diritto alla salute resta fragile e spesso legato alla capacità dei cittadini di sopperire con risorse proprie alle carenze del sistema. Le liste d’attesa interminabili, la fuga verso gli ospedali del Nord e le difficoltà di accesso ai servizi territoriali trasformano ciò che dovrebbe essere un diritto universale in un percorso a ostacoli. Non basta quindi registrare il calo di 11 punti nella “pagella” ministeriale, dietro quei numeri ci sono famiglie costrette a spostarsi per curarsi, diseguaglianze che si consolidano e una sanità che, se non affrontata con scelte strutturali, rischia di lasciare indietro i cittadini più fragili.