Sono le 22.23 del 18 novembre scorso. Gianfranco Miccichè, ex senatore di Forza Italia, chiama Mario Di Ferro, ristoratore palermitano arrestato oggi per aver ceduto cocaina, tra gli altri, proprio al politico, e gli dice che l’indomani sarebbe partito alla volta di Milano dove si sarebbe trattenuto per cinque giorni. Un gergo che, secondo gli inquirenti, indica le dosi che l’ex presidente dell’Ars avrebbe dovuto acquistare.
Emerge dalla misura cautelare disposta a carico di Di Ferro e altre cinque persone. Di Ferro, secondo gli investigatori, coglie il riferimento nascosto e si informa sull’orario del volo. Saputo che Miccichè sarebbe partito intorno alle due, l’indagato lo rassicura che sarebbe riuscito a farcela e gli dà appuntamento telefonico al mattino seguente “Vabbè, siete cinque, cinque giorni, va bene ciao” dice. Dove con i giorni, secondo l’accusa, i due parlano alle dosi. Subito dopo Di Ferro contatta il suo fornitore, Gioacchino Salamone, l’uomo dei clan mafiosi nel traffico di droga, che si impegna a fargli avere la cocaina. “All’una meno un quarto puntuale, da me al bar, va bene?”, gli dice Di Ferro.
Alle 13.55 Gianfranco Miccichè viene immortalato dalle telecamere di sorveglianza mentre arriva al ristorante Villa Zito. Scende, lascia il suo autista in attesa, entra e va via alle 15.20. Una scena che si ripete più volte secondo lo stesso copione tra novembre e dicembre del 2022. Come il 26 novembre. L’ex senatore sente Di Ferro al telefono e gli annuncia che sta arrivando. “Tra una mezzoretta vengo lì”, dice. Alle 20.29 Di Ferro, in compagnia di Miccichè, chiama Salvatore Salamone e gli chiede di raggiungerlo “eh … avvicina”, gli fa. Alle 20.43 Salamone, in bici, entra a Villa Zito dall’ingresso principale per andarsene poco dopo. E ancora il 30 novembre il sistema di videosorveglianza davanti all’ingresso secondario del locale riprende oltre all’arrivo del politico, anche il successivo incontro tra Di Ferro e Salamone che, dopo averlo atteso, alle 14.32 gli consegna una bustina, la sostanza stupefacente secondo i pm, attraverso il cancello. Secondo l’accusa poi in una occasione, il 6 dicembre, Miccichè sarebbe andato a prendere la cocaina a casa di Di Ferro. Prima del suo arrivo il ristoratore ancora una volta avrebbe chiamato il fornitore dicendogli: “Verso le quattro devi avvicinare perché minchia siamo assai, qualche tredici siamo, hai capito? “.
Sono una trentina le cessioni di droga che il ristoratore palermitano Mario Di Ferro, da oggi ai domiciliari, avrebbe fatto in favore di Gianfranco Miccichè, ex senatore di Forza Italia ed ex presidente dell’Assemblea Regione Siciliana, che non è indagato I due avrebbero usato un linguaggio in codice per parlare della vendita della cocaina: per indicare le dosi avrebbero fatto riferimento, ad esempio, al numero dei giorni in cui il politico si sarebbe dovuto recare fuori sede. Conversazioni che hanno subito insospettito gli inquirenti anche per l’inverosimiglianza delle frasi pronunciate. “Ma quanti giorni sono?” chiedeva Di Ferro nell’ambito di un discorso totalmente diverso e il politico rispondeva: “va beh uno, che c… ne so poi io”. In altri casi, invece, il politico faceva riferimento al cibo. “Che mi puoi portare da mangiare”? chiedeva. E Di Ferro: “ci penso io”. Subito dopo aver parlato con l’esponente di Fi (dell’acquisito dello stupefacente sostengono gli investigatori) Di Ferro chiamava i suoi fornitori, Gioachino e Salvatore Salamone, che nelle sue conversazioni con l’ex senatore indicava come “rappresentanti” e ordinava loro la droga, che puntualmente gli veniva recapitata. A riscontro della tesi dell’accusa, tra l’altro, c’è la corrispondenza tra le criptiche indicazioni relative alle dosi presenti nelle conversazioni tra Di Ferro e l’ex senatore e ciò che poi l’indagato riferiva al suo fornitore. “Senti, dovresti avvicinare da me al locale, ma siamo assai, qualche dieci, siamo dodici, una cosa di queste siamo” diceva Di Ferro a Salamone dopo aver saputo da Miccichè che sarebbe mancato “dieci” giorni. Molte le foto che immortalano Gioacchino Salamone mentre arrivava al ristorante di Di Ferro dall’ingresso secondario o mentre passava una busta, attraverso una grata del cancello, al ristoratore. Alla consegna, secondo un modus operandi frequente, seguiva l’arrivo di Miccichè immortalato dal sistema di videosorveglianza mentre si presentava al locale, a volte entrando anche lui dall’ingresso secondario, a bordo dell’Audi col lampeggiante acceso. Per l’accusa l’ex senatore sarebbe andato a ritirare la cocaina.
“Escludo in maniera categorica che io mi muova in macchina con lampeggiante acceso. Considero molto più importante nella mia vita di essere stato onesto, non avere mai fatto male a nessuno, non avere mai rubato un centesimo. Poi ognuno di noi qualche errore nella vita lo ha fatto. L’importante è essere a posto con la propria coscienza, e io lo sono”. Così Gianfranco Miccichè risponde sull’inchiesta per spaccio di droga nella ‘Palermo ben’, in cui non è indagato.