La Squadra Mobile e lo Sco, su delega della Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo, coordinata dal procuratore Maurizio de Lucia, hanno arrestato nove persone accusate, a vario titolo, di associazione mafiosa, estorsione aggravata dal metodo mafioso, traffico di stupefacenti e detenzione illegali di armi.
L’inchiesta riguardale famiglie mafiose del mandamento palermitano di Brancaccio, Roccella-Guarnaschelli e Corso dei Mille e svela i nuovi assetti organizzativi dei clan. Oltre a individuare i referenti del mandamento, che avrebbero assunto la gestione delle principali attività illecite dopo gli arresti dei vecchi boss, l’indagine ha accertato diversi casi di estorsione ad attività commerciali della zona, strette dalla morsa mafiosa che controllava dagli hotel, alle officine meccaniche, al venditore ambulante dello street food.
I clan inoltre gestivano le piazze di spaccio, soprattutto nel quartiere Sperone, dove la mafia controllava i canali di approvvigionamento dello stupefacente e riscuoteva il pizzo sulla vendita della droga.
I clan mafiosi palermitani controllavano anche le scommesse clandestine on line. Ed è in questo contesto che è maturato l’omicidio del boss dello Sperone Giancarlo Romano, ucciso per questioni relative al pizzo sulle scommesse online la settimana scorsa.
Romano era coinvolto nell’inchiesta che oggi ha portato agli arresti: gli inquirenti ne avevano accertato il ruolo all’interno del clan. I suoi assassini sono sono stati fermati poco dopo il delitto e sono detenuti.
GLI INDAGATI
Gli indagati nel blitz della Polizia contro le cosche di Palermo sono: Alessio Salvo Caruso, 28 anni, tuttora ricoverato in ospedale e gravemente ferito durante l’agguato di lunedì scorso in cui ha perso la vita Giancarlo Romano, Giuseppe Arduino, 54 anni, Giuseppe Chiarello, 48 anni, Damiano Corrao, alias “kiss kiss“, 62 anni, Francesco Farina, 70 anni, Sebastiano Giordano, 63 anni, Antonio Mazzè, 57 anni, Settimo Turturella, 53 anni, e Vincenzo Vella, 58 anni.
IL PIZZO
Tanti esercizi di autodemolizioni, hotel, pasticcerie e fast food della zona di via Messina Marine, corso dei Mille e viale Regione Siciliana pagavano il pizzo, anche in natura, con le cassate regalate agli uomini di Giuseppe Arduino, esponente di spicco della mafia di Brancaccio, uscito dal carcere, che si era rimesso a girare in lungo e in largo con uno scooter che non avrebbe potuto guidare perché senza patente, perché sottoposto alla sorveglianza speciale.
E’ quanto emerge dalle indagini condotte dalla Polizia di Palermo, che hanno portato all’arresto di nove persone aderenti alle cosche dei quartieri Brancaccio e Sperone. Arduino imponeva il pizzo, controllava chi stava eseguendo lavori di ristrutturazione. chi doveva fermare i cantieri perché non si metteva in regola.
Un controllo del territorio costante e continuo. In un bar dove si stavano eseguendo lavori di ristrutturazione, lo scorso 12 luglio, il boss si rivolse a un operaio e gli disse di interrompere i lavori e andare via. Poco dopo l’operaio chiamò al telefono qualcuno che arrivò a bordo di un furgone. Il dipendente prese alcuni attrezzi chiuse la saracinesca salì sul mezzo e andò via.
IL BOSS ARDUINO
I familiari del boss Giuseppe Arduino erano consapevoli che rischiava di essere di nuovo arrestato. E’ quanto hanno accertato gli uomini della Squadra mobile di Palermo durante le intercettazioni ambientali e telefoniche, nell’ambito dell’inchiesta che ha portato all’arresto di nove persone delle cosche di Brancaccio e Sperone.
Dentro un’auto, in via Messina Marine, alcune donne della famiglia parlavano tra loro e non nascondevano le preoccupazioni che derivavano dalla consapevolezza che Arduino potesse di nuovo finire in carcere. C’è chi non dormiva la notte temendo l’arrivo di polizia o carabinieri. Arduino era stato condannato a dieci anni di carcere, con sentenza diventata irrevocabile, nel 2018.
Il 15 gennaio 2021 era stato scarcerato dall’istituto di pena di Cosenza in concessione della liberazione anticipata e sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno per tre anni. A novembre del 2022 è stato denunciato per violazioni delle prescrizioni, poiché senza patente guidava uno scooter. Altra denuncia nell’ottobre del 2023 per aver violato gli obblighi della sorveglianza speciale.
LE DICHIARAZIONI DEL CAPO DELLA SQUADRA MOBILE
“Questa accelerazione investigativa e giudiziaria è anche, certamente, il frutto del recente fatto di sangue avvenuto nel mandamento di Brancaccio, mi riferisco ai fatti avvenuti il 26 febbraio costati la vita a Giancarlo Romano e al grave ferimento di Alessio Salvo Caruso”. È quanto ha detto il capo della Squadra mobile della questura di Palermo, Marco Basile, incontrando i giornalisti dopo il blit antimafia di stanotte nel mandamento mafioso di Brancaccio.
In seguito all’ordinanza di custodia cautelare in carcere disposta dal gip di Palermo su richiesta della Dda, coordinata da Maurizio De Lucia, agli indagati sono contestati una quindicina di episodi estorsivi, ha spiegato Basile, “ai danni di esercizi commerciali attraverso la tecnica definita ‘a tenaglia’, cioè forme di richiesta del pizzo estese dall’hotel fino ai piccoli e medi esercenti e anche piccoli ambulanti. E’ inoltre stata ricostruita la gestione nel traffico degli stupefacenti, sia per quanto riguarda l’approvvigionamento sia nella richiesta del cosiddetto mensile per la gestione della piazza di spaccio ad altri soggetti”.
IL RUOLO DI GIUSEPPE ROMANO
Nell’inchiesta che ha portato a Palermo agli arresti di 9 affiliati del clan delle famiglie dello Sperone e di Brancaccio, spunta il nome di Giancarlo Romano, 37 anni, ucciso la sera del 26 febbraio nel capoluogo siciliano e che vede indagati Camillo Mira, suo figlio Antonio e Alessio Salvo Caruso, quest’ultimo finito nell’inchiesta e ricoverato in gravi condizioni.
Secondo le indagini della squadra mobile di Palermo Giancarlo Romano, come emerge nel provvedimento del gip Lirio Conti, aveva trattato con Giuseppe Arduino e Vincenzo Vella, finiti in carcere nel corso dell’operazione, attività estorsive, la gestione delle piazza di spaccio, ma anche l’acquisto di armi e munizioni. Romano avrebbe svolto le funzioni di reggente delle famiglie di corso dei Mille. I tre avevano più volte discusso in merito a un’estorsione di cinque o diecimila euro che riguardava l’acquisto di un capannone nella zona industriale di Brancaccio e all’affittuario di un nuovo terreno in corso dei Mille da destinare a parcheggio.
Intercettati, discutevano di un regalo dai cinque ai diecimila euro per chiudere l’affare e consentire l’inizio dell’attività. Nel caso del parcheggio avrebbero anche chiesto un posto di lavoro.
Il delitto dello scorso 26 febbraio allo Sperone sarebbe scaturito da un debito di 2.500 euro attorno alle scommesse clandestine raccolte in un magazzino in via XXVII maggio a Palermo.
Secondo le indagini condotte dalla squadra mobile gli indagati hanno cercato di imporre sul territorio i circuiti di gioco d’azzardo on line a loro riferibili. Tanto che Vella, Arduino e Romano avevano convocavato chi raccoglieva le scommesse invitandoli a non usare i pannelli di Camillo Mira. Anzi, lo stesso Mira doveva togliere i suoi e sostituirli con quelli forniti dall’organizzazione che faceva capo ad Arduino, Vella e Caruso.
Ed è proprio con i Mira che lo scorso lunedì è nato lo scontro che ha provocato prima l’aggressione nel magazzino di via XVII Maggio da parte di Alessio Salvo Caruso, poi la reazione di Camillo Mira e del figlio Antonio e infine il conflitto a fuoco nel quale Giancarlo Romano è stato ucciso e Alessio Salvo Caruso gravemente ferito proprio da Camillo Mira, come lui stesso ha raccontato al giudice.