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La mostra “Sacra et Pretiosa. Cerae. Il Divino Infante nel Monastero di Santa Caterina“, inaugura – dopo la pausa forzata a cui ha costretto la pandemia – un nuovo capitolo del vasto e articolato percorso di valorizzazione delle opere d’arte sacra siciliana, iniziato nel 2018 col primo appuntamento del ciclo “Sacra et Pretiosa” dedicato ai conventi e alle chiese di Palermo e proseguita nel 2019 con “Sacra et Pretiosa – Tesori di Ciminna”.
Il progetto ha l’obiettivo di far conoscere e valorizzare il patrimonio del sacro ma al contempo di raccontare la vivacità culturale e religiosa che connotava la vita all’interno dei monasteri e dei conventi e che è poco conosciuta, a causa delle rigide regole di segregazione dettate della clausura.
Sede della mostra è il Monastero di Santa Caterina d’Alessandria, che dal 2017, pur in assenza delle suore, grazie al progetto di musealizzazione frutto della sinergia tra arcidiocesi di Palermo, Fec e sovraintendenza dei beni culturali, continua a mantenersi vivo in tutti gli spazi, anche attraverso mostre a tema ed esposizioni permanenti.
Rientra nell’ambito della riscoperta e della valorizzazione delle tradizioni monastiche l’uso della cera, che in Sicilia già dal Settecento assurge a vera e propria arte. Un tempo ogni monaca professa del monastero di Santa Caterina aveva un Bambin Gesù, protetto da una scarabattola, sul cassettone all’interno della sua cella. Il Divin Infante era oggetto di contemplazione da parte della religiosa, che nell’intimità del suo cuore, in solitudine e silenzio, si interrogava e meditava sul mistero dell’Incarnazione.
Diffuso era l’uso di rivestire i bambinelli con corredini, spesso ricamati o di adornarli con gioielli in corallo, in ossequio alla consolidata tradizione siciliana di donare ai neonati il corallo, a scopo apotropaico.
Oggi, nelle stanze preposte un tempo alla vita comune delle suore, al primo piano del monastero, sono esposti piccoli e grandi capolavori in cera, d’ambito siciliano, che attestano il culto e la devozione al Divino Infante: vezzosi Gesù in fasce, perfetti in ogni dettaglio, realizzati da virtuosi “bbambiniddari” palermitani, che avevano bottega in via dei Bambinai, nei pressi della Chiesa di San Domenico; bambinelli di produzione ericina, alcamese, salemitana, realizzati in seno alle comunità monastiche femminili. I vari ambiti di produzione del territorio si differenziano per la diversità delle tecniche e dei materiali utilizzati, oltre che per i differenti caratteri formali.
Molti dei “Bambinelli” in esposizione provengono da collezioni private: si tratta spesso di manufatti che hanno anche un forte valore affettivo, perché se ne tramanda il possesso di generazione in generazione, in ambito familiare.
La rappresentazione più diffusa è quella del bambinello in fasce, in atteggiamento dormiente nella sua culletta o in una cesta, o disteso su un divanetto, o inserito in un tempietto o in un giardino, o sdraiato su rocce di sughero. Bambinelli minuscoli di cera sono inseriti all’interno di un guscio di noce, o su una pala di fico d’india. Non manca tuttavia il Salvator Mundi (il bambino benedicente con il globo in mano); il Buon Pastore che affianca il suo gregge; l’Ortolano, il Bambinello con i cuori, il Bambin Gesù con i simboli che prefigurano la futura passione (chiodi, martelli, scala, corona di spine), il Bambinello tra le braccia di San Giuseppe o della Madonna.
La mostra è a cura di Nicole e Maria Oliveri.
Il comitato scientifico è composta da padre Giuseppe Bucaro presidente, direttore dell’Ufficio Beni culturali dell’Arcidiocesi e dal soprintendente la dottoressa Selima Giorgia Giuliano e la professoressa Maria Concetta Di Natale, da Maria Reginella, Libero Italo Giannola, Sergio Intorre, Rosalia Francesca Margiotta, Giovanni Travagliato, Maurizio Vitella.
La mostra è aperta al pubblico dal 18 Dicembre 2021 al 10 Gennaio 2022, dalle ore 10.00 alle ore 18.00.