Non sono dati esorbitanti ma che fanno comunque ben sperare per il futuro quelli diffusi da Infocamere sull’andamento della presenza delle società straniere nel capitale delle aziende manifatturiere italiane.
Il report, diffuso dalla società per l’innovazione digitale delle Camere di Commercio, colloca la Sicilia nella parte bassa della classifica per attrattività, al 14esimo posto, con 55 aziende partecipate. Davanti solo Basilicata, Calabria, Sardegna, Umbria e Valle d’Aosta. Al primo posto, con largo distacco, la Lombardia con oltre 2000 aziende. Seguono Veneto (668), Emilia Romagna (559) e Piemonte (533).
Il focus sulla Sicilia evidenzia però, al di là del numero assoluto, un’incoraggiante crescita di investimenti stranieri nelle aziende del territorio, e soprattutto nelle PMI: nel 2022 sono 55 le aziende industriali con presenza straniera, in crescita del +52% rispetto alle 36 rilevate nel 2017, e di queste 35 sono quelle nelle quali un singolo azionista estero ha la maggioranza assoluta (dato in crescita rispetto alle 22 contate nel 2017).
“In realtà sono numeri molto contenuti e significativamente depressi rispetto al vero potenziale di attrattività del tessuto di imprese siciliane un territorio che, certificano gli ultimi dati di Confindustria, vanta oltre 6.000 Pmi (rilevazione 2021) in crescita del +7,2% rispetto l’anno precedente“. Ha commentato il mid-cap investor Giovanna Voltolina.
Lo spiraglio, agli occhi dell’investor è quella piccola (in rapporto al complessivo) evoluzione per la quale aziende e venture capital stranieri stanno iniziando ad investire, anche in Sicilia, nelle nostre Pmi. E non solo rilevandone la maggioranza, ma anche in cosiddetta modalità “expansion” ovvero con investimenti di minoranza in aumento di capitale finalizzati alla crescita dell’azienda.
In effetti secondo il recente report (primo semestre 2023) pubblicato da AIFI – Associazione Italiana del private Equity, Venture Capital e Private Debt e PwC l’ammontare investito complessivo e a livello nazionale (estero e Italia) è calcolato a 3.189 milioni di euro, peraltro in forte in calo (-71%) rispetto al primo semestre del 2022, (eccezionalmente caratterizzato però da operazioni importanti a valore). Di questi il buyout (acquisizioni di maggioranza o totalitarie) cuba 2.215 milioni, disegnando una decrescita del -39% rispetto al periodo nell’anno precedente; il venture capital (investimenti in imprese nella prima fase di ciclo di vita, startup, ecc.) assomma 410 milioni (in calo del -7%).
“Invece l’expansion – legge Giovanna Voltolina – ha generato 210 milioni, quindi poco, pochissimo – commenta la mid-cap investor – ma in aumento del +13%. Uno spiraglio che per piccolo che sia indica invece con grande forza la strada su cui davvero bisogna investire, unitamente ad una cultura del lungo periodo, quella cioè in cui il passaggio generazionale non sia più, così come invece oggi è, il tramonto della PMI“.
“Infatti, nella realtà il problema a questo sviluppo è una combinazione di fattori – riflette la mid-cap investor – che da una parte allontanano l’imprenditore a scegliere di aprire il capitale ad un investitore, sia italiano che estero e dall’altra rendono difficile per l’investitore portare avanti un investimento di minoranza nell’azienda; dalle strutture di governance che si devono poggiare su un ordinamento giuridico e norme troppo complesse e obsolete e un sistema giudiziario che rimane uno dei più lenti in Europa. Vi è poi – continua Giovanna Voltolina – il tema generazionale che vede i ‘vecchi’ capitani d’impresa non essere riusciti a costruirsi una solida successione e quindi un futuro per l’azienda; nonché quello della burocrazia e delle politiche economiche, nazionali e regionali, stravolte e ad ogni cambio di Governo“.