Non c’ė dubbio che Renzi nella tornata elettorale delle recenti amministrative abbia preso una sonora batosta, ed è la seconda dopo quella, epocale, del referendum del 4 dicembre. Ma come si usa dire: non c’è due senza tre, ed il tre rischia di essere l’occasione delle prossime elezioni politiche. Renzi ė quindi un leader politico finito? Questo non lo so, ma sicuramente frenato.
Che peccato! In tanti avevamo scommesso su questo astro nascente della politica italiana. Le sue parole d’ordine: “rottamazione” dei riti stantii della politica, modernizzazione del paese, snellimento della mostruosa macchina burocratica, valorizzazione dei “talenti” senza trascurare i “perdenti”, avevano suscitato speranze diffuse e trasversali.
L’approccio pragmatico ai problemi economici del paese, ma anche l’attenzione al tema dei diritti civili (coppie omosessuali, ius soli, testamento biologico); le norme di semplificazione dell’accesso e dell’uscita dal mondo del lavoro (jobs act), e la sensibilità verso il tema delle disabilità; l’idea degli Stati uniti d’Europa, ma pure la difesa della dignità del ruolo dell’Italia a Bruxelles.
Queste erano le coordinate del progetto “Renzi”, una piattaforma ideologico-programmatica finalmente liberaldemocratica. Insomma Macron qualche anno prima di Macron!
Ma cosa è successo al nostro Macron? Si è invischiato, impaludato nelle liturgie della politica italiana. Non è stato il referendum a distruggere il progetto “Renzi”, era esausto già da tempo. Aveva perso freschezza ed appeal, e questo perché Renzi non ha avuto il coraggio di osare fino in fondo per innovare la politica ed il Paese, come invece ha fatto Macron in Francia.
Anziché farsi un partito tutto suo come l ’“En Marche” transalpino, liberandosi dalle zavorre ideologiche degli ex comunisti e dalle incrostazioni correntizie, ha preferito scalare il PD per utilizzarlo come strumento più diretto per arrivare al vertice del potere, ma piuttosto che trasformare il partito, facendo leve sulle migliori energie ed aprendolo ad iscritti e simpatizzanti, ha scelto, spesso, di allearsi con i cacicchi locali ed i signori delle tessere e di circondarsi di “yes-men”. E sono scelte che si pagano.
Ma se la parabola di Renzi, come promettente leader liberaldemocratico, è in fase discendente, non ci si può rassegnare ad abbandonare ciò che il renzismo poteva essere e non è stato.
Partendo proprio da quella che rappresenta la sua più grande sconfitta, l’inizio del suo declino: il pacchetto di riforme, la costituzionale in primis, bocciato dal referendum, portava con sé principi di innovazione indispensabili per lo sviluppo del Paese, a prescindere o nonostante Renzi. Non ce lo possiamo permettere.
L’idea di modernizzare l’Italia, di renderla più ricca e competitiva, più civile e tollerante, più libera e aperta al futuro, non può morire per la sconfitta politica di chi, in verità, era riuscito a rappresentarla.