“Credo che bisognerebbe rileggere la sentenza della Corte d’Assise di Caltanissetta che ha condannato gli assassini di Rocco Chinnici perché lì è raccontata, purtroppo, una storia ancora poco conosciuta ed è la storia di un magistrato che non è stato ucciso soltanto dai soliti Riina o Brusca ma è stato ucciso dai colletti bianchi“.
Lo ha dichiarato il Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Palermo, Roberto Scarpinato, presente alla cerimonia di commemorazione per il giudice Rocco Chinnici, ucciso dalla mafia il 29 luglio 1983 davanti la propria abitazione in via Pipitone Federico.
“La morte di Chinnici arrivò quando si decise di alzare il livello dell’indagine oltre la mafia militare e ci si rese conto che i cugini Salvo erano l’anello di congiunzione fra la mafia militare ed il mondo economico e politico – ha raccontato Scarpinato –. Dal quel momento, come descritto dalla sentenza, ci sono tutta una serie di tentativi di avvicinarlo: attraverso amici di famiglia, attraverso vertici della polizia, attraverso vertici del palazzo di giustizia”.
“Chinnici disse a Falcone – continua Scarpinato – che poi lo riferirà alla magistratura, che pensava come dentro il palazzo di giustizia c’era qualcuno che voleva la sua morte e per questo cominciò a scrivere il suo diario segreto. Ecco, un omicidio maturato nel mondo dei colletti bianchi, commissionato dal mondo dei colletti bianchi, un omicidio di famiglia della borghesia mafiosa che ha governato questo paese. Non possiamo nelle commemorazioni pubbliche continuare a raccontarci una storia di brutti, sporchi e cattivi e di un mondo di persone oneste. C’è stato un mondo grigio che è stato protagonista non soltanto di Chinnici ma anche dello smantellamento del pool antimafia, dell’isolamento dei magistrati antimafia e che ancora oggi continua ad avere un peso in questa società”.