La Sicilia resta sospesa tra potenzialità enormi e una realtà ancora frenata da connessioni deboli. Le infrastrutture, strade, ferrovie, porti e aeroporti, sono la spina dorsale di qualunque economia, e nel caso dell’Isola, rappresentano al tempo stesso la sua maggiore sfida.
L’indice di dotazione infrastrutturale, che misura la qualità e la quantità delle reti fisiche e dei servizi di connessione, colloca la Sicilia nel gruppo meno virtuoso d’Italia, insieme alle regioni con un PIL pro capite inferiore alla media nazionale, dove le reti mancano, anche la crescita rallenta. I dati ActTankSicilia del ‘The European House Ambrosetti’ parlano chiaro.
L’insularità come freno strutturale
Il peso economico dell’insularità non è solo una metafora. Secondo il nucleo di valutazione e verifica degli investimenti pubblici e il servizio statistica della Regione Siciliana, il costo aggiuntivo derivante dall’essere un’isola ammonta tra i 6,5 e i 6,8 miliardi di euro l’anno, quasi il 7% del PIL regionale.
Per le imprese, ciò significa logistica più costosa, tempi di spostamento più lunghi, filiere produttive più fragili. In questo contesto, lo sviluppo infrastrutturale non è una questione di efficienza, ma di sopravvivenza economica.
Porti: il mare come risorsa strategica
Con undici porti principali principali suddivisi tra le tre Autorità la Sicilia muove il 14,3% delle merci italiane e quasi un quarto dei passeggeri nazionali. Si tratta di numeri importanti, ma che raccontano anche una rete frammentata.
Il porto di Augusta resta il cuore pulsante del traffico merci, ottavo in Italia, terzo nel Sud, con oltre un terzo del traffico regionale e specializzazione nelle rinfuse liquide e solide. Seguono Milazzo, Palermo e Catania, a comporre un mosaico logistico che funziona, ma spesso senza una regia comune.
Sul fronte Ro-Ro, la Sicilia è la prima regione italiana, con tre poli principali, ovvero Catania, Palermo e Messina, che si dividono equamente i flussi.
Nel turismo, la crescita del traffico crocieristico è evidente con oltre 1,8 milioni di passeggeri nel 2024, +7,1% rispetto all’anno precedente. Palermo e Messina si affermano come scali mediterranei di rilievo.
Eppure manca un disegno di sistema. Ogni porto tende a comportarsi come un’entità autonoma, più che come parte di una rete coordinata. La specializzazione commerciale, passeggeri, energetica è ancora in via di definizione.
Strade e autostrade, un arcipelago di cantieri
La rete stradale siciliana conta circa 20.000 km, ma la quantità non compensa la qualità. Le quattro autostrade principali (A18, A19, A20, A29) coprono l’ossatura viaria dell’isola, con tratti moderni alternati a segmenti che portano addosso decenni di incuria.
Dopo la “Relazione Migliorino” del MIT nel 2021, sono stati aperti oltre 30 cantieri per mettere in sicurezza viadotti e gallerie, con investimenti superiori ai 300 milioni di euro.
Eppure, il vero nodo resta la rete secondaria. Le strade provinciali, spesso uniche vie di collegamento per le aree interne e le isole minori, presentano un arretrato di manutenzione stimato in 2,8 miliardi di euro.
Il paradosso è che la Sicilia, pur avendo una rete in difficoltà, vanta uno dei tassi di motorizzazione più alti d’Italia, 72,7 auto ogni 100 abitanti.
È un segnale chiaro, la mobilità privata sopperisce dove quella pubblica non arriva.
La dipendenza dal trasporto su gomma diventa così un circolo vizioso, che aggrava l’usura delle strade e riduce la sostenibilità dei trasporti.
I prossimi anni promettono un cambio di passo, 11 miliardi di euro di investimenti in infrastrutture viarie, 913 milioni solo per la Palermo-Catania, e all’orizzonte il Ponte sullo Stretto, progetto da 13,5 miliardi che divide l’opinione pubblica ma rilancia il tema centrale, come e con cosa collegare davvero la Sicilia al continente.
Ferrovie: binari che si allungano, treni che invecchiano
La rete ferroviaria siciliana misura circa 1.370 km, quasi tutti a binario unico. Solo il 57,8% è elettrificato, e l’età media dei convogli supera i 18 anni. Non stupisce, quindi, che appena il 13,8% della popolazione utilizzi il treno, tempi di percorrenza lunghi e bassa frequenza scoraggiano ogni alternativa all’auto.
Ma la ferrovia è anche il fronte su cui si gioca la partita più ambiziosa. Il progetto da oltre 20 miliardi di euro per il raddoppio e la velocizzazione della Palermo-Catania-Messina promette di ridurre i tempi di viaggio a due ore tra i due capoluoghi e 45 minuti tra Catania e Messina.
È una delle opere più imponenti mai avviate in Sicilia, e non solo per la mobilità, la linea ridisegnerà l’asse economico interno, con nuove stazioni nell’entroterra e connessioni dirette a porti e aeroporti. Un primo passo verso quella intermodalità di cui si parla da anni, ma che ora comincia ad avere un corpo.
Aeroporti: la vera rete veloce dell’Isola?
Catania e Palermo da sole gestiscono oltre il 90% del traffico aereo siciliano. Nel 2024, Catania ha superato i 12 milioni di passeggeri (+15%), Palermo si è avvicinato ai 9 milioni (+10%).
Le tratte per Roma e Milano sono tra le più trafficate del Paese: Catania-Fiumicino è la rotta numero uno in Italia. Dietro questi numeri, però, si nasconde una fragilità, ovvero la dipendenza quasi totale da due soli scali.
Gli aeroporti di Trapani e Comiso, potenzialmente strategici, restano sottoutilizzati. Eppure, proprio Comiso potrebbe diventare il punto di svolta per l’export agroalimentare ibleo, mentre Trapani potrebbe integrare la rete logistica portuale della Sicilia occidentale.
Una rete da costruire, non solo da riparare
Il tema non è solo tecnico, ma politico e culturale. Le infrastrutture siciliane soffrono da sempre di frammentazione gestionale, enti diversi, competenze sovrapposte, strategie che raramente dialogano.
La vera sfida non è costruire nuove opere, ma mettere in rete quelle esistenti. Porti che parlino con le ferrovie, aeroporti collegati ai nodi logistici, autostrade pensate non come linee isolate ma come assi di sviluppo economico.
Un esempio virtuoso esiste già, ovvero l’integrazione tra il porto di Augusta e il polo industriale di Siracusa, con vocazione energetica, rappresenta un modello di sinergia tra infrastruttura e territorio. La stessa logica dovrebbe guidare il resto della pianificazione regionale: specializzare, integrare, coordinare.
Mai come oggi la Sicilia ha a disposizione risorse così ingenti, pnrr, fondi di coesione, piani nazionali e regionali. Ma le risorse, da sole, non bastano. Si punta alla visione, alla continuità e a una governance capace di evitare l’ennesima “somma di cantieri”. Perché le infrastrutture, prima di essere opere, sono narrazioni di futuro.
E per la Sicilia, costruire reti significa anche ricucire il proprio destino economico, sociale e umano.
Un’isola connessa non è solo un luogo più accessibile. È un luogo che si riconnette con se stessa.




