Sono cinque milioni i siciliani in grado di parlare e comprendere al meglio la lingua della terra d’origine. Questi possono essere definiti, senza ombra di dubbio, esempi di bilinguismo. L’Unesco, infatti, ha definito esplicitamente il dialetto parlato nell’Isola come una vera e propria lingua.
Per maggiore precisione, la nota organizzazione che fa capo alle Nazioni Unite ha precisato che sia il dialetto siciliano che quello napoletano sono delle lingue “vulnerabili”. Ciò significa che negli anni si è registrata una progressiva diminuzione della loro diffusione.
Ma facciamo chiarezza.
QUALCHE CENNO STORICO
Il siciliano, seppur parlato all’interno del territorio italiano, non si può considerare un ramo glottologico discendente da quest’ultimo. Entrambi, infatti, hanno un’autonoma origine e provengono dal latino volgare.
Le influenze che nei secoli ha subìto l’idioma dell’Isola sono notevoli e numerose. Sicani, elimi, siculi, fenici, greci, romani, arabi, normanni, spagnoli e francesi: sono soltanto alcune delle popolazioni che si sono susseguite nella dominazione della Regione e che, in modo più o meno incisivo, hanno lasciato il segno (ed il suono) nella parlata locale.
Uno degli elementi che differenziano maggiormente il siciliano dalle altre lingue, è il fatto che manca una vasta produzione letteraria scritta. Contrariamente, la tradizione orale è di gran lunga maggiore e ha permesso di dare vita a numerose tradizioni popolari che ancora oggi sono particolarmente diffuse. Proverbi, leggende e storie nelle quali il confine tra fatti reali ed immaginazione è sempre molto labile: tutto ciò fa parte ancora oggi del modus vivendi dell’Isola e dei suoi abitanti.
I RICONOSCIMENTI
Oltre all’Unesco, anche altre organizzazioni italiane ed internazionali hanno definito la lingua isolana come tale. Non da ultimo, anche l’Ars nel 1981 e nel 2011 ha promulgato due leggi in cui ha esplicitamente affermato che: “La Regione promuove la valorizzazione e l’insegnamento della storia, della letteratura e del patrimonio linguistico siciliano nelle scuole di ogni ordine e grado”.
In ossequio alle direttive dell’Unesco, la Regione Siciliana ha anche istituito, attraverso l’assessorato dei Beni culturali e dell’identità siciliana, il R.e.i. (Registro delle eredità immateriali della Sicilia). Questo, costituito da ben sei libri e più di 200 voci, ha un’intera sezione dedicata ai dialetti, alle parlate ed ai gerghi presenti nell’Isola.
Da ultimo, ma non per importanza, anche l’Ue si è resa partecipe di un’iniziativa volta a riconoscere la lingua siciliana come tale e non come una corruzione del dialetto. A Bruxelles nei giorni scorsi (qui) è stato infatti presentato il Manifesto che ha come obiettivo la sua valorizzazione come un vero e proprio patrimonio da preservare nel tempo.
(TRI)LINGUISMO
Secondo l’Istat, ancora oggi quasi il 70% dei siciliani utilizzano il proprio dialetto in via prevalente o in alternanza con l’italiano nei dialoghi familiari. Appena il 26,6%, invece, utilizza la lingua nazionale in via prevalente o esclusiva.
Ancor più interessanti le informazioni sulle lingue straniere conosciute dai siciliani. Il 32,4% degli abitanti dell’Isola è in grado di parlare inglese. Si tratta del penultimo dato dell’intero territorio nazionale. Dietro la Regione a tre punte si piazza soltanto la Calabria.
La Sicilia si dimostra quindi molto legata alle proprie tradizioni, anche dal punto di vista glottologico, ma poco propensa ad un’internazionalizzazione del linguaggio. Ma in un mondo che cambia costantemente e velocemente, occorre stare attenti ad entrambi gli aspetti.