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“Cosa vediamo quando guardiamo noi stessi?” Di sicuro l’immagine di ritorno è obnubilata dai ricordi misti a prospettive diverse che, perciò, rendono verità diverse.
“Cendres“, lo spettacolo della compagnia franco-norvegese Plexus Polaire, ispirato al romanzo Avant que je me consume di Gaute Heivoll, al Teatro Libero di Palermo con la messa in scena di Yngvild Aspeli, è una storia dove ‘rouge‘ e ‘noir‘ si mescolano sapientemente.
Il ‘rosso‘ è quello del fuoco che brucia, inspiegabilmente, molte case pochi mesi dopo la nascita di un un bambino, lo stesso che da adulto verrà affascinato da questo ricordo e scriverà un testo; il ‘nero‘ è la belva che risiede in ogni essere umano.
Il racconto
Nella Norvegia degli anni Settanta due storie si intrecciano in un gioco di rimandi e riferimenti: in un paesino sperduto un giovane incendia case. Una storia in apparenza banale che però seduce uno scrittore. Quest’ultimo, diversi anni dopo, ne fa materia per la sua narrazione. Gli stessi fatti, dunque, saranno vissuti due volte sia attraverso la scrittura che attraverso la scena.
Da qui nasce l’incontro/scontro di due storie che si intrecciano e di due intimità torturate, una dal fuoco, l’altra dall’alcol. Due esseri tragicamente ordinari che scricchiolano sotto gli assalti dei loro demoni.
Cendres, dalla peculiare potenza comunicativa, in un racconto fatto di immagini, movimenti di marionette, alcol e fuochi sparsi qua e là, anche ad un certo punto nel petto di un ‘personaggio’, è metafora perfetta ed esemplificativa del conflitto interno di ciascun essere umano che si trova a dover addomesticare la belva dentro di se per vivere pienamente la propria esistenza.
“Eccoti nel lato oscuro della vita“
Sul palcoscenico questa belva è rappresentazione, nella forma e nella sostanza, della paura subliminale e nell’inconscio limite, ad una piena esistenza, che essa stessa può causare.
Tra parole che si sgretolano su un esile telo semitrasparente e convulse azioni che ripercorrono i trent’anni che separano il racconto di questi incendi, uniti in un ponte comune fatto di conflitto interno, attori e marionette, in un bellissimo gioco di scale in cui alternativamente sono piccole e poi a grandezza naturale – rese vive dalla bravura di Viktor Lukawski, Aïtor Sanz Juanes e Andreu Martinez Costa – in cui interagiscono o sovrastano gli stessi attori sulla scena si sviluppa, in fin dei conti, con delicatezza ma efficacia, a parer nostro, la questione esistenziale del ricercato equilibrio tra mente e cuore, tra istinto e razionalità.
Il tutto reso ancora più potente dalle tinte noir dei quadri che si alternano in una struttura scenica originale e complessa, accompagnata da un progetto sonoro, di Guro Moe Skumsnes & Ane-Marthe Sørlie Holen, di rara sensibilità ed efficacia.
Repliche fino all’1 febbraio.