La discriminazione e il razzismo nel 2022 ancora persistono, non solo per razza, sesso, ideologie politiche, religione etc, ma anche per i virus. In particolare, da quando si è sviluppata l’epidemia del vaiolo delle scimmie: “si è andato espandendo un linguaggio razzista e stigmatizzante sia online che in altri contesti e in alcune comunità”. A dirlo è l’Oms.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità, proprio per combatterli, infatti, ha deciso di cambiare il nome al vaiolo delle scimmie (monkeypox) in “mpox“.
La decisione
“Mpox diventerà il termine ufficiale, in sostituzione del vaiolo delle scimmie, dopo un periodo di transizione di un anno – aggiunge l’Oms -. Ciò serve a mitigare le preoccupazioni sollevate dagli esperti sulla confusione causata da un cambio di nome nel mezzo di un’epidemia globale”.
Inoltre: “Il sinonimo mpox sarà incluso nell’ICD-10 online e farà parte della versione ufficiale del 2023 di ICD-11, che è l’attuale standard globale per i dati sanitari, la documentazione clinica e l’aggregazione statistica. Il termine “vaiolo delle scimmie” rimarrà ricercabile nell’ICD per corrispondere alle informazioni storiche“.
L’organizzazione ah voluto precisare che “l’assegnazione di nomi a malattie nuove e malattie esistenti è una responsabilità dell’Oms, ai sensi della Classificazione ICD e della Famiglia delle classificazioni sanitarie internazionali. Inoltre, le decisioni vengono prese attraverso un processo consultivo di esperti degli Stati membri dell’Oms”.
Il vaiolo delle scimmie
Il virus fu identificato per la prima volta nel 1958 in alcune scimmie in cattività. Nonostante il nome, i primati non umani non sono un serbatoio del virus. Nonostante il serbatoio sia ignoto, i principali candidati sono i piccoli roditori delle foreste pluviali africane.
La malattia umana era limitata principalmente a casi sporadici in Africa, che poi andarono ad aumentare, presumibilmente con la cessazione della vaccinazione contro il vaiolo nel 1980.
Oltre per la tipologia di trasmissione, gli scienziati hanno espresso preoccupazione per il modo in cui i focolai vengono trattati dai media e per la denominazione dei diversi ceppi del virus sostenendo che “nel contesto dell’attuale epidemia globale, il continuo riferimento e la nomenclatura di questo virus come africano non solo è impreciso, ma è anche discriminatorio e stigmatizzante”.