Baby gang, accoltellamenti, risse, bullismo e cyberbullismo, rapine e omicidi, ma anche spaccio. I reati legati alla violenza giovanile sono in costante aumento, segnalando una deriva preoccupante che affonda le radici in un profondo disagio sociale e in una grave carenza di strumenti emotivi.
Troppo spesso, i giovani ricorrono alla violenza per affrontare incomprensioni, frustrazioni e difficoltà relazionali, trasformando il conflitto in un’escalation di aggressività senza controllo.
Questi episodi, apparentemente inspiegabili, rivelano un malessere diffuso che coinvolge ogni strato della società.
“I dati sono estremamente preoccupanti: dal 2022 abbiamo registrato un aumento del 25% dei reati commessi da minorenni, spesso caratterizzati da una violenza e una brutalità allarmanti. Identificare le cause è complesso, poiché si tratta di un fenomeno determinato da molteplici fattori”, evidenzia Claudia Caramanna, procuratore della Repubblica al Tribunale dei Minorenni di Palermo.
“Un elemento chiave è l’uso di sostanze stupefacenti, in particolare il crack, che oggi è facilmente reperibile a basso costo e consumato anche da bambini molto piccoli. A questo si aggiungono la crisi familiare, la fragilità dei legami sociali e la progressiva sostituzione delle relazioni reali con interazioni virtuali. Tutti questi elementi creano un contesto di insicurezza che incide profondamente sulla psiche dei minori – prosegue -. Un ulteriore aspetto critico è rappresentato dagli esempi negativi offerti dagli adulti, che spesso normalizzano la violenza. In questo scenario, la criminalità organizzata sfrutta i minori in modo sistematico, reclutando anche soggetti non imputabili, consapevole che sotto i 14 anni non è possibile avviare procedimenti penali. Oggi vediamo molti ragazzi, anche di appena 14 anni, impiegati come pusher nello spaccio di droga”.
Le azioni
“L’educazione rappresenta la chiave di volta per arginare il problema – dice Matteo Frasca, presidente della Corte d’Appello di Palermo –. È essenziale rafforzare il ruolo della famiglia e della scuola, trasmettendo ai giovani il valore della comunità, della condivisione e della solidarietà. Solo attraverso un’educazione basata su questi principi possiamo contrastare il senso di isolamento e disorientamento che porta molti ragazzi alla violenza.
“Inoltre, è importante sottolineare che questo incontro è dedicato alla memoria di Francesca Morvillo, un magistrato che aveva intuito l’importanza di un approccio innovativo alla giustizia minorile – prosegue –. La sua visione, pionieristica per l’epoca, si basava sulla capacità di ascolto e sul dialogo con i giovani, anche in carcere, con l’obiettivo di dare un senso autentico alla funzione rieducativa della pena. Questo deve essere il nostro punto di riferimento per il futuro”.
Il ruolo fondamentale dei medici per combattere il fenomeno
“Il contrasto alla violenza giovanile non può essere affidato esclusivamente alla repressione: è necessario un approccio sistemico che preveda interventi educativi, preventivi e di supporto psicologico“, sottolinea Toti Amato, presidente dell’ordine dei Medici di Palermo e consigliere Fnomceo.
“Un ruolo cruciale in questa battaglia lo giocano i medici, in particolare i pediatri e i europsichiatri infantili, che spesso sono tra i primi a intercettare segnali di disagio nei giovani. Attraverso un’attenta osservazione, possono individuare sintomi di stress, depressione, disturbi della condotta e comportamenti a rischio – evidenzia -. La collaborazione tra sanità, scuola e famiglie può fare la differenza, offrendo ai ragazzi un sostegno concreto e indirizzandoli verso percorsi di recupero e crescita. Un aspetto cruciale, già affrontato dal decreto Caivano del 2023, è il potenziamento della presenza dei medici nelle scuole e nella società”.
“Non possiamo limitarci a intervenire quando il danno è già fatto – conclude -. La vera sfida è costruire una rete di prevenzione che aiuti i ragazzi prima che cadano nella spirale della violenza”.