Trovare un felice punto d’incontro tra l’arte classica, e per di più sacra, di uno dei luoghi simbolo della Sicilia, il Duomo di Monreale, e l’arte contemporanea a firma del belga Jan Fabre è stata la scommessa giocata dalle due curatrici, Joanna De Vos e Melania Rossi, nel realizzare la mostra “Ecstay & Oracles“.
L’esposizione, aperta al pubblico fino al 4 novembre, coinvolge diversi angoli di Monreale estendendosi, idealmente collegata, ad Agrigento tra il Parco Archeologico della Valle dei Templi, il Museo Archeologico Regionale “Pietro Griffo”, il Complesso monumentale di Santo Spirito, la Chiesa di Santa Maria dei Greci e la Biblioteca Lucchesiana – Mudia.
In totale circa 50 le opere esposte che vanno dal 1982 a 2016, di cui solo due inedite, che tentano, alcune con successo altre meno, di inserirsi in un substrato, bisogna riconoscerlo, non facile per la maestosità intrinseca dei luoghi. Il connubio classico/moderno ci è sembrato più riuscito nelle installazioni presenti a Monreale.
“L’uomo che sostiene la croce” (2015) all’interno della Cappella di San Benedetto (Cattedrale Santa Maria la Nuova) appare dirompente nella visione simbolica e luccicante dei quasi quattro metri di scultura in bronzo silicio, se si supera lo stallo dell’autocelebrazione che opera Fabre nel dare il suo volto alla statua (ritornello che si ripete in ogni creazione che presenti fattezze umane).
In qualche modo convince anche la serie di scarabeo gioiello, “Scarabeo sacro con bastone vescovile“, “Scarabeo Sacro” e “Scarabeo con albero d’alloro“, varianti dell’animale simbolo della resurrezione per moltissime civiltà antiche, al centro da anni della riflessione dell’artista.
Di grande impatto visivo la serie “Vanitas vanitatum, omnia vanitas” collage di grandi dimensioni realizzati con scaglie di coleotteri, rese cangianti, che visivamente rendono la peculiarità di possibili “mosaici moderni“.
Meno risuscita, a parer nostro, l’installazione realizzata ad Agrigento: pedisseque le tartarughe che reggono un grande cervello all’interno della Biblioteca Lucchesiana con “L’Universo trasportato da una tartaruga“; le altre opere, invece, di per sé interessanti perdono la loro forza nel non essere site specific.
Buona la scelta della collocazione dell’opera “L’artista che non può vedere la sua stessa tragedia?” all’interno del museo archeologico dove due teste, anche queste luccicanti, poste l’una davanti all’altra coinvolgono il visitatore richiamando un qualche collegamento con i luoghi e, in particolare, con la capra autoctona.
L’ultima nota dolente, forse la più difficile da integrare nel contesto, è la video installazione, opera inedita, “In DzSchande übers Ganze Erdenreich” dove la performer/sacerdotessa Stella Höttler si muove tra tartarughe di terra in una sorta di estasi mistica, rievocando il mito della profetessa Cassandra e la pratica oracolare della Pizia.
Fabre sceglie di confrontarsi con il significato più viscerale, contemplativo e sciamanico, profondamente legato alla natura e ai suoi elementi che, al tramonto e nella “sacralità inviolabile” dell’aura del Tempio della Concordia e della Valle dei Templi tutta, risulta una nota stonata.
All’interno della Villa Aurea, infine, esposti anche disegni, film di performance e sculture definite “Thinking models” che sviluppano il tema della tartaruga, animale oracolare per eccellenza, intesa come simbolo di immortalità e saggezza.
Tra gli eventi Collaterali di Manifesta 12 e nel cartellone di Palermo Capitale Italiana della Cultura 2018, il progetto è stato organizzato da MondoMostre, promosso dall’Assessorato regionale dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana, Dipartimento dei Beni culturali e dell’Identità Siciliana, Soprintendenza ai Beni Culturali e Ambientali di Palermo, Polo Culturale di Agrigento.